Descrizione in versi dei personaggi
nella commedia
“Candelaio” di Giordano Bruno
dicembre 2022
Prima pubblicazione:
Trancemedia.eu
febbraio 2024
Descrizione in versi dei personaggi
nella commedia
“Candelaio” di Giordano Bruno
dicembre 2022
Prima pubblicazione:
Trancemedia.eu
febbraio 2024
redazione
Persone che stanno accanto, intorno, sotto un G7, un Consiglio, una Commissione, una Segreteria, o anche solo umani che si ritrovano per un ghiotto capodanno alla Rosazza dalla croce uncinata, o su un FrecciaRossa fermato a richiesta del Ministro — sono persone, umane per l’appunto. La loro incerta qualità è il prodotto della loro individuale biologia, moltiplicata per la socialità in cui nuotano.
Giordano Bruno – il Bruno Nolano accademico di nulla Accademia, detto il Fastidito, arso vivo giusto 424 anni fa di questi giorni – nella commedia Candelaio muove le persone in modo che la realtà delle loro essenze venga alla luce, a dispetto degli sforzi che qualcun attua per non lasciarsi riconoscere.
Con questi brevi componimenti poetici, Marilena Genovese aiuta chi voglia inscenare un futuro Candelaio a individuare la chiave di ciascun personaggio, e a comporre l’insieme con ‘storica’ coerenza. Poesie per un casting; istruzioni per attori, disvelamenti di commedianti. Pillole di scienza politica nella società dello spettacolo e dell’AI.
Esercitare mnemotecnica, o volgarmente mandare a memoria, può aiutare a purificarci di gente così, diventare impermeabili.
redazione Trancemedia.eu
N.B. – Tutti i diritti di questo lavoro sono riservati all’Autrice secondo la legislazione italiana e internazionale del Diritto d’Autore e del Copyright. Per contatto con l’Autrice, inviare mail a: info@trancemedia.eu
L’AUTRICE
Marilena Genovese vive a Torino. È laureata in filosofia. Ama la letteratura, la giustizia sociale, gli animali. Ha ricevuto due volte il Premio Letterario Nazionale «Il Meleto di Guido Gozzano».
ALLA SIGNORA MORGANA B.
SUA SIGNORA SEMPRE ONORANDA
“ ( … ) Ricordatevi, Signora, di quel che credo non bisogna insegnarvi: – il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s’annichila; è uno solo che non può mutarsi, uno solo è eterno, e può perseverare eternamente uno, simile e medesmo. – Con questa filosofia l’animo mi s’aggrandisse, e me si magnifica l’intelletto. Però, qualunque sii il punto di questa sera ch’aspetto, si la mutazione è vera, io che son ne la notte, aspetto il giorno, e quei che son nel giorno, aspettano la notte: e tutto quel ch’è, o è cqua o llà, o vicino o lungi, o adesso o poi, o presto o tardi. Godete, dunque, e si possete, state sana, ed amate chi v’ama. “
“Candelaio” è una commedia in 5 atti pubblicata a Parigi nel 1582.
Il Candelaio, messer Bonifacio, che è sposato alla bella Carubina e ama la signora Vittoria, Manfurio, il pedante goffo e credulone che sproloquia in latino, Bartolomeo l’avaro e dilettante alchimista, sono facile preda di un gruppetto di imbroglioni di vario calibro, tra i quali Vittoria che vorrebbe approfittare dell’amore di Bonifacio per spillargli quattrini. Bonifacio si affida al mago Scaramuré per un incantesimo che lo faccia amare da Vittoria. Ma al convegno troverà l’indignata Carabina che, fino allora virtuosa, si lascia convincere dall’innamorato Gioan Bernardo che non è grave mettere le corna ai mariti imbecilli. Manfurio e Bartolo vengono sbeffeggiati, derubati e più volte bastonati
L’azione si svolge tutta in una notte a Napoli nel 1576
“La poesia non nasce da le regole, se non per leggerissimo accidente, ma le regole derivano da le poesie; e però tanti son geni e specie di vere regole, quanti son geni e specie di veri poeti”
GIORDANO BRUNO, Eroici furori, in Opere italiane, ed Paolo de Lagarde, 1888, I, p.625
ARNOLD HAUSER, Storia sociale dell’arte, Piccola Biblioteca Einaudi, 1979, p. 413
“La tesi rinascimentale della natura soggettiva e irrazionale della creazione artistica, e anzitutto la tesi che l’arte non si insegna né s’impara, ma artisti si nasce, solo al tempo del Manierismo è spinta all’estremo, specialmente da Giordano Bruno che parla non solo della libertà, ma dell’assenza di ogni regola nell’operare artistico.”
ANTIPROLOGO (quattro quartine e prosa)
PROPROLOGO (sonetto)
BIDELLO (due quartine)
BONIFACIO: il Candelaio (due ottave e due sestine)
BARTOLOMEO: l’avaro (quattro sestine)
MANFURIO: il pedante (quattro ottave e una sestina)
CARUBINA: moglie di Bonifacio (tre quartine)
MARTA: moglie di Bartolomeo (quattro quartine)
VITTORIA: puttana (sonetto)
LUCIA: ruffiana (quattro quartine)
ASCANIO: servo di Bonifacio (due quartine)
MOCHIONE: servo di Bartolomeo (una ottava)
POLLULA: servo e scolaro di Manfurio (una ottava)
GIOAN BERNARDO: pittore (sonetto)
CENCIO: alchimista (due sestine)
SCARAMURÉ: mago (tre ottave)
CONSALVO: commerciante (due sestine e una quartina)
OTTAVIANO: un passante (una quartina e un distico)
BARRA: un ladro (tre quartine)
MARCA: un ladro (due sestine)
CORCOVIZZO: un ladro (una ottava)
SANGUINO: capo dei ladri (due ottave e una quartina)
Marilena Genovese
ANTIPROLOGO
Difficile è il mestiere dell’attore
in guerra con il pubblico e la vita
epigono del mimo o del giullare
in scena sempre con la pancia vuota.
È così l’Antiprologo, un ragazzo
ma gli occhi sono già di un vecchio uomo
precipitato da un destino pazzo
senza criterio dentro a un viver gramo.
È fame, rabbia, emarginazione
condite con l’arguzia e l’ironia
è un’alzata di spalle, un’irrisione
a chi pensa che il mondo giusto sia.
Eppure lui ci porge un grande dono
tra i molti seminati in questa storia
dono di conoscenza e di memoria
l’autoritratto di Giordano Bruno.
“L’autore, si voi lo conosceste, dirreste ch’ave una fisionomia smarrita: par che sempre sii in contemplazione delle pene dell’inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per far come fan gli altri: per il più, lo vedrete fastidito, restio e bizzarro, non si contenta di nulla, ritroso come un vecchio d’ottantanni, fantastico com’un cane ch’ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla.“ (G.B.)
PROPROLOGO
Tutt’altra pasta d’intrattenitore
aggiusta guai, cordiale, conciliante
abile a persuader lo spettatore
che vedrà una commedia interessante.
Favella sciolta, esperto dicitore
non la trama racconta ma le tante
tanto varie passioni dell’ardore
quando l’uomo rinuncia a usar la mente.
“Ridere o piangere”: anche avverte, arguto,
che dentro al testo un senso si nasconde
chi può capisce e chi lo vuole intende.
Quanto a lui di certo non fa il vate
assomiglia a un notaio o a un grasso frate
guance rasate, ventre ben paffuto.
BIDELLO
Non c’entra nulla, come chi s’indugia
dentro a una festa a cui non è invitato
e per giustificar quel che trangugia
inventa un alto compito assegnato
così il Bidello, lingua roboante
sguardo di sfida, torvo e prepotente
spalanca alla commedia il gran portone
ne dice il titolo e pronuncia il nome:
CANDELAIO
BONIFACIO
il Candelaio
Viscido, untuoso, una laida ex-checca
d’anni quarantasei, ben malportati,
sguardo bovino, radi peli in testa
giallogrigiastri, stopposi e sfibrati.
Sul corpo floscio e curvo una pancetta
ricorda gran bagordi trapassati,
Cupido anche stavolta s’è sbagliato
se Bonifacio è tanto innamorato.
Innamorato? Spira amor dal culo
vento greve che soffia e lascia il vuoto;
in più è anche avaro e per suo disculo
della superstizion si fa devoto.
Così tutti lo ingannano, e ugualmente
lui li asseconda e non capisce niente.
Lo inganna primo un falso negromante
ch’egli stimava un efficace mago,
Lucia ruffiana gli fa creder tante
panzane e non gli dà più d’uno spago,
la dolce moglie trova un caldo amante
di lui più bello e assai di lei più vago,
lo ingannano i marioli ed i birbanti
e Bonifacio paga tutti quanti.
Ma anche se la sua meschineria
gli causa rodimenti e gran dolore
nemmeno un briciolin di simpatia
può partirsi per lui dal nostro cuore:
non possiam risparmiare alcuna asprezza
a chi è vittima sol di sua bassezza.
BARTOLOMEO
l’avaro
Di color pece scabro e freddo sasso
in deserto notturno, ecco il suo cuore,
solo una luce riesce a farvi ingresso:
per Creso, venerato con ardore,
Bartolo spasima ad Argenteria
e versa lacrime ad Oreficeria.
Lui il centro del mondo, il solipsismo
solo lui soffre, gli altri non han niente
cupo livore, sterile sarcasmo
tranne ch’al soldo a tutto indifferente.
Risultato final: Marta gli adorna
il capo con robuste e fitte corna.
Lui di nulla s’accorge, non gl’importa
solo “Ricchezze” ha dentro alla testa
e pensa di acquistarle per la porta
alchemica, ma è asinina bestia:
l’incantamento in burla si trasforma
e avverso il suo desire volge l’orma.
Il suo corpaccio d’orco nero, grosso
lo ritroviam per terra incatenato
ad un furbastro fregator dell’osso
mentre lui è picchiato e derubato.
Ma non ci muovi, Bartolo: a te il peggio
ora. Ed in altra vita? Scarafaggio!
MANFURIO
il pedante
Il ritratto perfetto del cretino
ovver pittura del cretin perfetto
sovrabbonda la penna al nostro Bruno
e disegnar l’idiota è un gran diletto
massime se l’idiota sa il latino
e della vita non capisce un etto.
Tristezza ilare e triste ilarità
per quant’è asina l’umanità.
Qualche riferimento ci vien dato
anche sulla persona manfuriesca
alto abbastanza e cranio un po’ pelato
come i chierici porta l’ostia in testa
è vecchio – vecchie natiche – e impedito
e abbisogna d’ occhiali per la vista.
Però non è il Manfurio corporale
che ci farà dal rider sbellicare.
Ridiamo invece della sua gran boria
ridiam della stupidità meschina
di chi crede che, imparata a memoria
la più imbecille e assurda lezioncina,
a recitarla sempre si è di gloria
circondati e di maestà quasi divina.
Ridiam di ogni ignorante paludato
col quale abbiamo il dente avvelenato.
Manfurio è quel burocrate statale
insipidissimo, esperto in codicilli,
che un giorno ci ha fregati niente male
citando pedantesco due cavilli
con interpretazion gretta e parziale
ci ha lasciati in mutande e senza spilli.
Se non sarà nient’altro almen sarà
una risata che li seppellirà.
Così quando Manfurio è derubato,
deriso mentre crede esser lodato,
legato e spolverato con cinghiate
non possiam trattenere le risate;
e dal gran ridere allarghiam le gote
perfino alla lettura delle note.
CARUBINA
moglie di Bonifacio
Mediterranea, morbida, sinuosa
profuman le lenzuola sue di rosa
splende la pelle, brillan gli occhi belli
rilucono le labbra ed i capelli.
Per lei e per le belle c’è un profluvio
di paroline innamorate e ardenti
mio cor, mio ben, mia vita e giù in diluvio
Petrarca dolce da cariare i denti.
E mentre Primavera fra le stelle
fa alzar la coda anche alle asinelle
lei fa, ma ha poche idee degne di nota
bel corpo pieno, bella testa vuota.
MARTA
moglie di Bartolomeo
Soda. Polposa. Calda. Anzi, bollente
amava l’hard core e non ha più niente
da quando suo marito cerca l’oro
Martina ha perso il sonno ed il decoro.
Rivuole il maschio, è astiosa, inviperita
ma sol da Barra e non sempre è servita
così cerca conforto e ottien tormento
nel rimembrare il bel divertimento.
“Allora giocavamo a gamba a collo,
a infilare, a spaccafico, a sorecillo ”
e giorno e notte senza pantaloni
recitavam devoti pie orazioni.
Caro è il ricordo. E vivo ancor la tocca
Jean, il pedofilo, e “sempre benedetta”
sia l’anima di chi a lei bambinetta
poneva la “lingua francese in bocca”.
VITTORIA
puttana
Falsi i capelli biondi, falso il neo
decolté prosperoso e prorompente
dama Vittoria adesca ogni babbeo
ch’abbia monete nella borsa tante.
I giovani li tiene per cameo
con Bonifacio è donna previdente
il colpo della vita è nel desio
di spremer oro dal suo sciocco amante.
Ma Bonifacio ha l’amore avaro
e la speranza si rivela vana
dunque lei lo castiga come può.
Non cavando da lui nullo danaro
continuerà a fare la puttana;
però si è divertita, almeno un po’.
LUCIA
ruffiana
Corri corri formichina
corri svelta sulla scena
manifesta ottima lena
nel mestiere di ruffiana.
Vieni, vai, consiglia, intriga
dappertutto ovver dovunque
ogni istante ed a chiunque
fai pagare l’altrui figa.
Chissà se anche da puttana
fosti un dì cosi solerte
trascorrendo a gambe aperte
ogni giorno e settimana?
Ora vecchia raggrinzita
nessun può tenerti testa
guidi il ballo nella festa
Lucia ingannatrice nata.
ASCANIO
servo di Bonifacio
Di grande ha ricevuto, Ascanio, il nome
– figlio d’Enea, stirpe di regnanti –
ed ha un volto leggiadro, roseo, come
ben disegnato, occhi scintillanti.
Belle mani, che odian la fatica
usa indolenza anche nel piacere
ed accodandosi all’altrui volere
fotte le donne e per i maschi è fica.
MOCHIONE
servo di Bartolomeo
Non è bello né brutto, non è furbo
né scemo, non è colto né ignorante
non profuma né puzza, non è agro
né dolce, non è amico né scostante,
così è Mochione, non freddo né caldo,
uno banale, che non sa di niente
tranne quando, con garbo e precisione
mette in lista gli errori del padrone.
POLLULA
servo e scolaro di Manfurio
Due volte doppio: per il suo padrone
e maestro è il fedele servitore
ma in contemporanea ha comunione
con quanti manigoldi può trovare;
è bino anche nel sesso, è il bel garzone
che “inchiostro nero e bianco” sa adoprare;
in scena sta nascosto o parla poco
se c’è una burla lieto assiste al gioco.
GIOAN BERNARDO
pittore
Finalmente! Par senza difetto
giovane, artista, intelligenza fina,
eloquio persuasivo, bell’aspetto,
membra slanciate, chioma leonina.
Conduce a compimento ogni progetto
domina ognuno che gli s’avvicina
fa quel che vuole e vuole soprattutto
darsi al bel tempo con la Carubina.
Certo emerge sugli altri personaggi
ma emerge perché gli altri valgon poco
lui s’accontenta, non innalza il gioco
e senza usare i cerebri vantaggi
invece di applicar Filosofia
fa dolce vita di periferia.
CENCIO
alchimista
È ispirata a Gebèr e ad Avicenna,
a Alberto Magno e Ermete Trimegisto
con gli dei dell’Olimpo: la dottrina
alchemica di Cencio è un fritto misto,
vecchia aria fritta è ogni sua sentenza
il problema è che lui la chiama scienza.
E non ha torto, scientificamente
pensa e sa che il suo gran ciarlatanare
quando fa presa su una ingorda mente
produce polli pronti da spennare;
spiuma l’avaro a lungo e facilmente
poi fugge, ed è pauroso e impaziente.
SCARAMURÉ
falso mago
Tutto è animato, dunque la magia
– pensava Bruno- è all’uomo alto sapere,
sta al vertice della filosofia
alla natura impone il suo volere,
con le forze del cosmo ha sintonia
e nei prodigi esprime il suo potere.
Scienza umana e divina: ma non c’è
niente di magico in Scaramuré.
Bugiardissimo, il re dei ciarlatani,
ma ha magnetici occhi penetranti,
sorriso indecifrabile, ed arcani
modi da gran signor, riflessi pronti,
sfoggia abiti lussuosi e paroloni
cambi di voce, dispotici o suadenti:
appare il più sapiente della terra
lui che nel furto è macchina da guerra.
Del resto, se gli chiedono fatture
per non pagare nel comprar l’amore
che cos’altro può far, solo ubbidire
poi imbrogliar le carte a suo favore
e di bassa retorica infarcire
ogni suo detto, con sì gran fervore
che ogni gonzo lo venera e l’onora.
Son quattro secoli e seduce ancora.
CONSALVO
commerciante
Attenti, negozianti, a quel che fate
se proclamate aver commerci onesti
mentre senza pudore rivendete
allume, ammonio, zolfo e pulvis Christi
polvere magica, madre del tesoro,
che ogni metallo vile muta in oro.
Così chi vende crema per la pelle
che vecchie e racchie cambia in bimbe belle
pastiglie prodigiose contro il peso
ch’esile fanno ogni corpo obeso
biglietti detentori di fortuna
che amica rendon la contraria luna.
fa bene a ricordarsi che Consalvo
dall’ira del cliente non è salvo
né dai suoi pugni, e per soprammercato
dai ladri vien legato e derubato.
OTTAVIANO
uno che passa di lì
Che ci sta a fare in mezzo al popolino
questo signore colto, spiritoso
che con squisito garbo sopraffino
burla Manfurio e lo fa uscir nervoso?
Sta a insegnar questo: prova, è divertente,
rendi anche tu ridicolo un pedante!
BARRA
ladro
Spalle forti, robusto, brizzolato
gambe atletiche, un filo di pancetta,
modi da muratore sfaccendato
in cerca di lavoro, senza fretta.
Ma chi gli s’accostasse da vicino
e gli guardasse il cuor per le pupille
trasalirebbe al sordido baleno
a tratti gli occhi mandano scintille.
Lampi d’astuzia, rari per fortuna
svelti, ogni vostro avere nascondete,
collane, anelli e portamonete
se Barra vi ha guardati, vi rapina.
MARCA
ladro
Lo dice la parola: l’oste è ostile
voleva i soldi dopo che ho mangiato,
stupido, disonesto, mai gentile
se l’è cercata d’esser derubato,
e raccontando quante gliene ho date
con gli amici mi fo quattro risate.
È tale il preferito passatempo
di Marca, furfantello piè veloce,
per il resto del giorno passa il tempo
con chi a più scaltri furti lo introduce,
negli occhi accende sguardi di vittoria
l’Accademia dei ladri è la sua gloria.
CORCOVIZZO
ladro
Quant’è affabile questo giovanotto
appare comprensivo ed educato
sbaglio, sembrava, poiché avviene tosto
che chi lo incontra è ben malcapitato
e Corcovizzo con un gesto lesto
mentre ispira fiducia opera il furto:
non c’è scampo, rimane a capo chino
chi s’imbatte in allievi di Sanguìno.
SANGUINO
capo dei ladri
È il capo che con forte man sicura
guida gli allievi ladri a fare danni,
ha mente d’architetto e prefigura
palazzi di raggiri, frodi e inganni,
calcola da ingegnere e s’assicura
ponti ben saldi a scavalcar gli affanni,
fa il ladro ma si veste da guardiano
parla ed agisce come un capitano.
Algido, rigido, di secche parole
trasuda autorità ed è rispettato,
tagliente come lama di pugnale
dove colpisce un fesso è derubato;
tutto si capovolge e adesso vale
il principio che qui viene affermato
che se giustizia esiste e regge i mondi
s’altri non fa, la fanno i bassifondi.
Però Sanguìno non ne ha coscienza,
che gl’ importa di un piano superiore?
lui sta bene così, l’intelligenza
gli serve sol per questo: per rubare.
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