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text-center space-top space-bottom">Scommettiamo con i derivati

Sento parlare da tempo dei derivati, magici strumenti della finanza, senza riuscire ad afferrarne l’essenza. Ho letto invano decine e decine di articoli tecnici. L’esempio che me li ha fatti capire meglio è contenuto in un quaderno della Fondazione Culturale Responsabilità Etica di Banca Etica. Lo riassumo brevemente.

Le navi inglesi che seguivano la via delle Indie per commerciare spezie potevano produrre enormi profitti ma il loro commercio era reso assai rischioso dalle traversate in mare aperto e dall’incontro con i pirati. Alcuni armatori inglesi (gli inglesi sono sempre precursori nella finanza) iniziarono a vendere il carico di spezie prima della partenza della nave, a prezzo scontato. Chi acquistava le spezie poteva quindi realizzare un profitto qualora la nave fosse rientrata sana e salva. Ma se, qualche tempo dopo la partenza della nave, giungeva la notizia di una tempesta nell’Oceano Indiano, chi aveva acquistato il carico in anticipo vedeva aumentare il rischio di perdere tutto. Poteva però provare a rivendere a un soggetto terzo il diritto ad avere il carico di spezie all’eventuale ritorno in porto, a un prezzo ancor più scontato. Bene, si viene a sapere che la nave ha superato la tempesta e sta rientrando con le spezie senza problemi. L’ultimo acquirente del diritto di proprietà su queste spezie può ora aspettare il rientro della nave, oppure rivendere a sua volta tale diritto ad un altro, a un prezzo notevolmente più alto, realizzando in questo modo un profitto senza avere mai comprato, venduto e nemmeno visto una spezia in vita sua.

I derivati sono dunque una pura scommessa che può essere applicata indifferentemente al prezzo del petrolio o del grano, che però influenzerà il prezzo del petrolio e del grano anche se chi scommette non è né petroliere né commerciante di frumento. Oggetto della scommessa può essere non importa cosa, anche il fallimento di uno Stato, l’incendio della casa del mio vicino, il rialzo o il ribasso dei tassi di interesse. Scommesse che producono altissimi profitti o perdite colossali.

Sono le imprese finanziarie che offrono i derivati a confezionarli e a definirne le caratteristiche in termini di costi, scadenze, condizioni e funzionamento che sono opachi, complicati e incomprensibili per gli investitori. Spesso sono proposti a piccoli risparmiatori totalmente a digiuno di competenze finanziarie, e molte volte anche a loro insaputa, o ad altri investitori che non sono in grado di valutarli. Come è successo agli Enti pubblici italiani.

La moderna ingegneria finanziaria ha messo a punto strumenti derivati sofisticatissimi. I mutui concessi sono stati “impacchettati” con altri titoli di debito, obbligazioni e titoli di stato. E questi “pacchetti” sono poi stati spezzettati in blocchi di diverso rischio, e nuovamente impacchettati in altri prodotti finanziari. Pezzi di debito “avariato” (ovvero inesigibile) sono stati annidati nei vari pacchetti e poi rivenduti sui mercati finanziari come prodotti sicuri, certificati dalle agenzie di rating, provocando all’intera finanza mondiale, nel 2008, il contagio della crisi nata con la bolla dei subprime in America.

finanza casinò

L’Italia, con il suo enorme debito pubblico, corre fortissimi pericoli se i tassi d’interesse si impennano: quando crescono troppo, il debito straborda. Così nacque l’idea di “assicurarci” con i derivati per risparmiare sui tassi di interesse di una ingente massa debitoria, scommettendo sugli andamenti dei mercati finanziari. Tradotto in termini umani: un Ente scommette contro una banca che, se un tasso di interesse rimane entro una certa soglia, l’Ente ci guadagna, se la supera, perde. Una finanza casinò.

Il governo italiano inizia a ricorrere ai derivati negli anni ’80, proseguendo in maniera espansiva per tutti i ’90. Nel 1995 il governo guidato da Lamberto Dini amplia la tipologia dei derivati utilizzabili. Nel 1996, con Romano Prodi al governo, gli Enti pubblici vengono obbligati a coprirsi con un derivato dal rischio di cambio, nel caso emettano prestiti in valuta. Il boom si tocca dal 2001 in avanti, con la “finanza creativa” di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia. Stato, Regioni, Province e Comuni sottoscrivono un numero crescente di derivati.

Per lo Stato e gli Enti locali italiani, i derivati hanno costituito una immediata e allettante iniezione di liquidità nelle casse pubbliche con la possibilità di “ristrutturare” i debiti contratti sottoscrivendone altri, in sostanza allungandoli nel tempo, senza porsi problemi delle pesanti ipoteche che stavano imponendo sul futuro dei loro cittadini.

Dopo i primi entusiasmi dovuti anche ai guadagni ottenuti, i derivati hanno svelato il loro vero carattere: il forte aspetto speculativo, l’opacità, la complessità, le condizioni sbilanciate a favore delle banche emittenti, spesso peggiorate dall’incapacità o superficialità di chi li contraeva. Così la bomba derivati è scoppiata, e non solo in Italia.

La legge di stabilità 2014 ne ha definitivamente vietato l’uso agli Enti pubblici. Molti derivati restano però nella pancia dello Stato italiano, di Regioni e Comuni ma non ci è dato sapere esattamente quanti sono, con chi li abbiamo contratti e quali disastri dobbiamo aspettarci sui nostri conti.

Un primo assaggio lo abbiamo avuto nel 2012 quando il governo di Mario Monti è stato costretto, in base a una clausola (Additional termination event) imposta dalla banca d’affari americana Morgan Stanley, a chiudere in anticipo una serie di contratti derivati. A Morgan Stanley abbiamo sborsato 3,1 miliardi di euro in un’unica soluzione. La cosa più straordinaria è che sembra che i più alti funzionari del ministero del Tesoro non fossero a conoscenza di quella clausola. L’Espresso ha ricostruito in dettaglio i fatti.

gli altri contratti sono ancora top secret

Tranne questa eccezione, tutti gli altri contratti sono ancora top secret. Nonostante le richieste di fare luce, anche da parte del Parlamento, nessun governo ha mai svelato i nomi delle banche interessate e i contenuti dei contratti, trincerandosi dietro la privacy: “le clausole contrattuali sono note alle sole controparti”.

Ma in questa partita non siamo soli. Il maggior sottoscrittore di derivati è la banca fiore all’occhiello del prestigio teutonico: la Deutsche Bank ha in pancia 48.000 miliardi di euro di derivati, pari a 14 volte il prodotto interno lordo della Germania. Nel 2016, il Fondo monetario internazionale ha definito Deutsche Bank “la fonte dei maggior rischi sistemici tra le banche al mondo”.

Ma i mercati pare preferiscano preoccuparsi della solvibilità dell’Italia.

 

Tiziana Ripani

 

 

 

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