Quando e perché siamo finiti dentro questo gorgo di paura non è chiaro. Sicuramente dopo il 1989, sicuramente dopo la caduta di quel muro e quell’impero.
Ma, in realtà, le cose rimangono, al di là dei loro simboli.
Chiuse dentro i cuori come un istinto a cui reagiamo.
Il Tav, anzi l’opposizione al Tav, è il punto dove una nuova ideologia si scontra con il capitale. Il quale, per la verità, non ha mai abiurato alcunché.
La val Susa è il punto fisico in Italia, e forse non solo, dove il rapporto tra capitale e democrazia si scontra fisicamente.
E’ il punto dove il concetto di redistribuzione della ricchezza, rapacità delle classi dominanti e rendita di posizione, trova piena forma.
Non sono grosse e imprevedibili novità storiche, ovviamente.
Il Tav è la rendita che l’aristocrazia si assicura da parte del sovrano di turno. Il compito dell’aristocrazia è essere fedeli, combattere per il sovrano, circondarsi di servitù.
Oggi uguale a ieri: qualcuno nota delle differenze?
Il socialismo dei ricchi è sempre esistito, oggi come ieri.
A tutto questo si dovrebbe opporre un’ideologia di classe non fondata su principi economici. Anzi, fondata sul rifiuto dei principi economici come unico mezzo con cui formare la realtà, l’etica, la morale.
Ne abbiamo già scritto.
Eppure si continua a cercare una via d’uscita laddove vi è un buco nero.