A due passi dal centro storico,
da trent’anni l’Aurora
aspetta una gentrificazione
che ha perso molti treni.
Ma nel frattempo, dal Borgo Po
e dai “quartieri alti”,
è cresciuta la domanda
di cocaina
A due passi dal centro storico,
da trent’anni l’Aurora
aspetta una gentrificazione
che ha perso molti treni.
Ma nel frattempo, dal Borgo Po
e dai “quartieri alti”,
è cresciuta la domanda
di cocaina
Chi odia i poveri?
I poveri illusi,
mentalmente gentrificati
Pare che i dibattiti politici del “maggio francese” fossero particolarmente caldi: io non lo so, io non c’ero. E, se devo confessarlo, a un tempo che fondava il suo credo sul “vietato proibire” non credo molto.
Vietato proibire, per quanto mi riguarda, è la base del capitalismo reale che oggi domina il mondo. Ho letto in un libro di Emmanuel Carrère, scrittore in gran voga ultimamente, che di quel tempo rappresenta un diamante nel bene come nel male; sostiene che quei dibattiti cominciavano con una fatale domanda: “tu da dove parli?”. Pare che si dovesse spiegare semplicemente da quale punto della realtà personale si stesse sostenendo una posizione politica, culturale, ideologica. Per i romani questa era la posizione “ad hominem”. Per quanto mi riguarda vorrei che questa domanda fosse posta sempre, perché reca in sé una vena di verità, perché avvicina la nostra parola al “croco perduto in mezzo a un polveroso prato” di cui scriveva Montale, seppur negandone l’esistenza.
tu da dove parli?
Mi è sovvenuta quella domanda mentre attraversavo il quartiere Aurora di Torino.
Si trova a due passi dal centro storico, e affonda le sue radici sociali nell’operaismo sorto da un brutale sviluppo industriale che ha gettato le fondamenta, materialmente, di questo quartiere nel tardo ottocento.
Molti, quasi tutti, pensano che il fiume di Torino per antonomasia sia il Po. Ma, come sostiene lo storico Adriano Ballone, il fiume che ha fondato Torino è la Dora Riparia: lungo il suo breve corso, che parte dall’alta Val Susa, si sono ammassate per decenni fabbriche, operai e quartieri interi.
Nel piccolo bar di corso Vercelli, poco distante dalla casa dove nacque lo chansonnier Gipo Farassino, mi parlano delle migrazioni in questi termini: “Devono cacciarli tutti, hanno rotto il cazzo. Qui non ci stanno”.
Sono i poveri che odiano i poveri.
Per un breve periodo della storia i poveri hanno odiato i ricchi: quel tempo, che la storia vuole coincida esattamente con il massimo sviluppo civile, sociale, economico e umano, è finito.
Di fronte al piccolo bar c’è una fabbrica, l’ex Fiat Grandi Motori: rasa al suolo. Un solitario signore gioca a golf su un distesa di tondini di ferro piegati, calcinacci, rifiuti e topi. Si esercita con i legni, perché tira distanze lunghe, e usa palline rosa fosforescenti. Un cartello blu posto all’esterno della fu fabbrica avverte che i lavori di “riqualificazione termineranno nel 2006”. Dodici anni fa, nel glorioso periodo olimpico torinese, che ora si vuole perfino ripetere.
Se io ponessi la domanda del maggio francese ai vari avventori del bar che compatti enumerano le ragioni del loro “razzismo”, loro, semplicemente, mi direbbero che vivono in posto “di merda”.
Loro, quindi, fondano le loro posizioni inelegantissime su un’analisi non astratta del contesto. Loro parlano dal punto sociale dove vivono.
immobili di pregio, possibilmente pre-novecento e grossi viali
Il sociologo Giovanni Semi, massimo esperto italiano di gentrificazione, sostiene che vi sia un processo espulsivo dai quartieri come Aurora, una sorta di pulizia di classe – della razza non interessa più nulla a nessuno, il vero nemico sono i poveri – combattuta a colpi di aste fallimentari sugli immobili, retate, sfratti, licenze commerciali. L’importante è che esistano immobili di pregio, possibilmente pre-novecento e grossi viali dove inserire voluminosi dehors. Una ex assessora di Torino giunse perfino a teorizzare la democrazia del dehors: ovvero la riappropriazione da parte della comunità di porzioni di beni comuni, quali sono le strade.
Ma, da quanto si vede a occhio nudo, da quanto si sente nei commenti di questo bar, il fenomeno della gentrification da queste parti è fermo alle prime spinte.
Aurora è più che altro una discarica di povertà antiche e nuove, di vecchi solitari e migranti appena arrivati, di gioventù che vaga senza andare a scuola e trentenni che bivaccano nei bar.
La curiosa tendenza
a non correlare la vendita
con l'acquisto
I giovani del bar mi parlano del fenomeno dello spaccio che sempre più spesso finisce sulle pagine dei giornali, piegato a fenomeno politico.
È interessante questa condanna violenta del fenomeno dello spaccio.
Esiste questa curiosa tendenza, eufemismo, a non correlare la vendita con l’acquisto. A non correlare il povero, spesso nero, che vende, con il bianco che compra.
Come se si fosse tornati indietro nella storia dell’economia, ai tempi della legge degli sbocchi di Say, secondo cui è l’offerta a determinare la domanda. Legge ampiamente smentita dai fatti, purtroppo, in un contesto di capitalismo puro quale è il nostro.
Solo pochi anni fa una campionatura delle acque del Po ha mostrato come esso sia il fiume più inquinato d’Italia: dalla cocaina.
La domanda: quella non dà fastidio
Dalle ricche colline scendono le fogne che portano nel Po cocaina in quantità industriale. In questi quartieri che consumano ciò che gli altri vendono non si manifesta il mito del “degrado”. La domanda: quella non dà fastidio.
Circa tre anni fa, nell’agiata pre-collina, dei giovani occuparono una caserma, un tempio della Resistenza al nazifascismo peraltro, abbandonata da anni. Ci portarono dentro i migranti che nessuno vuole, come il vecchietto della canzone di Domenico Modugno. L’occupazione durò un mese, poi fu sgomberata. I neri tornarono da dove erano venuti: dai quartieri dei poveri.
Ora è abbastanza chiaro il manifestarsi di una divisione di classe in tutto ciò.
l’analisi di classe cede il posto all’analisi di razza
Aurora non è il quartiere dove vive Cristiano Ronaldo: Borgo Po è il quartiere dove vive Cristiano Ronaldo.
Ma, ancora una volta, l’analisi di classe cede il posto all’analisi di razza.
I marxisti, una corrente tra le mille, si infervorano quando sentono parlare di “esercito di riserva” relativamente ai migranti che arrivano in Italia. Premesso che è innegabile che essi facciano i lavori che gli italiani non hanno più voglia di fare – raccoglitori di frutta, manovali, assistenti di vecchi, spacciatori di cocaina per ricchi consumatori – e ad un costo decimato rispetto al passato, essi, i marxisti che si inalberano, sostengono che in ogni contesto esiste un esercito di riserva, perché è il capitalismo che lo crea e non i processi migratori.
Ma, a questo punto, non si comprende il perché di una battente retorica sulla relazione tra migranti – prodotto interno lordo – sistema pensionistico. Con una pulsione particolarmente geometrica laddove i lavoratori poveri, cioè i migranti africani o di altri luoghi del mondo, sarebbero, sono, coloro che “pagano le pensioni agli italiani”.
Locuzione che ben inquadra l’ideologia sfruttatrice tanto candida quanto intrinseca. Dicono proprio così: “i migranti servono – servono, attenzione – a pagare le pensioni degli italiani”.
Ma una politica pro migranti, seria, non può essere fondata sul verbo “servire”. Soprattutto non può sorvolare su un processo che oggi, in talune porzioni del territorio occidentale, sfida la “legge della impenetrabilità dei corpi”.
Di fronte alla fabbrica distrutta di Aurora, in nome di un ridicolo e perdente passaggio dalla manifattura all’economia immateriale, che ha prodotto stratificazioni di povertà crescente, la risposta corretta è data dall’aggiungersi di nuovi strati di poveri? In nome di cosa? Di una solidarietà di classe inesistente?
I paradigmi cambiano,
ma il vecchio Spartaco?
Ci troviamo in uno dei quei gomiti della storia in cui i paradigmi cambiano, nonostante l’anestesia mediatica imperante. Per decenni, secoli, abbiamo portato avanti il mito della redistribuzione della ricchezza: un architrave che rimane, sicuramente ammaccato e fuori moda. Ebbene, forse è giunto il tempo di parlare di redistribuzione della povertà.
ricchezza smodata, pericolosa
Se proprio non c’è più nessuno in questo mondo che ha ancora il coraggio di dire che la ricchezza è un profitto, è un furto fondato sullo sfruttamento, che gli oligarchi sono dei ladri di risorse e civiltà, che la concentrazione di ricchezza smodata a cui assistiamo è da colpire con una tassazione imposta dallo Stato in maniera spietata e feroce – in quanto pericolosa – allora si proceda in senso opposto.
I poveri esistono: concentrarli nello stesso punto di mondo sta portando alla nota reazione. Spingere verso un’accelerazione sistemica potrebbe creare il collasso del sistema: è una teoria nota. Si potrebbe giungere alla rivolta della plebe, a un nuovo ed eterno spartachismo.
Maurizio Pagliassotti
Le immagini di questa pagina, curate dalla redazione di Trancemedia.eu, sono state scattate nel settembre 2018.