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text-center space-top space-bottom">Tunnel: sì. Laboratorio: sì. Acqua: al supermercato.

Le acque del Gran Sasso sono inquinate, si sa da tempo, anche se i media nazionali (con l’eccezione del Fatto) preferiscono non dare importanza. In concreto, le falde acquifere del Gran Sasso assicurano l’acqua potabile a 700 mila persone: l’intera provincia di Teramo e notevoli porzioni delle province adiacenti, in totale l’1,17% della popolazione italiana.

Dopo infinite denunce degli ambientalisti e dopo il divieto di uso dell’acqua potabile emesso per 30 comuni nel maggio 2017, il 28 settembre 2018 la Procura di Teramo ha concluso le indagini preliminari.

Risultano indagati 10 dirigenti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) – l’ente pubblico di ricerca che gestisce i Laboratori Nazionali del Gran Sasso situati nel ventre della montagna più alta dell’Appennino, nonché della società Strada dei Parchi e dell’acquedotto del Ruzzo (Ruzzo Reti SpA).

compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee del Gran Sasso

Secondo l’accusa, “Gli indagati, con condotte colpose abusivamente cagionavano o non impedivano e, in ogni caso, contribuivano a cagionare o a non impedire un permanente pericolo di inquinamento ambientale e, segnatamente, il pericolo di compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee del Gran Sasso”.

L’istituto di fisica nucleare avrebbe mantenuto in esercizio i laboratori senza aver verificato se vi fosse “un adeguato isolamento idraulico delle opere di captazione e convogliamento delle acque destinate a uso idropotabile ricadenti nella struttura rispetto alle limitrofe, potenziali fonti di contaminazione”.

Non sarebbero stati presi adeguati provvedimenti per “scongiurare il rischio di contaminazione delle acque sotterranee”. Sarebbero state omesse le “misure necessarie per l’allontanamento dalla zona di rispetto delle sostanze pericolose utilizzate”.

Il GIP ha disposto il sequestro delle opere di captazione dell’acqua potabile che si trovano all’interno dei laboratori perché “l’insufficiente livello di sicurezza, sotto il profilo delle acque sotterranee (…) comporta il pericolo, concreto e attuale, di nuovi episodi di contaminazione dell’acqua (…) con particolare riferimento alle attività dei laboratori”.

 

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