Cosa intende concretamente Piero Fassino quando dice che l’Italia resterà “isolata” se non si realizza la Torino-Lione? Che non mangeremo più camembert? Che per andare a Parigi dovremo passare da Londra? Oppure che ci mancheranno luce, acqua e gas? Non sto scherzando, vorrei che Fassino mi facesse un esempio concreto d’isolamento dell’Italia (o, se preferisce, dell’economia italiana) se il tunnel di base del Fréjus non venisse realizzato. Non è un politico qualunque Piero Fassino, è stato ministro, sindaco di una grande città, non può buttare parole al vento. Anche se il termine “isolamento” lo usasse come metafora o come iperbole, resta il fatto che è un’affermazione, in quel contesto, che fa dubitare della sanità mentale o dell’onestà intellettuale di chi la pronuncia.
Una “Grande Opera” ha senso solo quando “cambia la vita”, quando modifica in maniera sostanziale il sistema degli spostamenti con effetti sociali, economici, urbanistici, territoriali di vasta portata. L’allargamento del Canale di Suez, per esempio, è stato definito una “Grande Opera” ma i suoi effetti sul sistema degli scambi sono stati pari a zero. L’unica ragione per realizzarlo è stata quella di aumentare gli introiti dello stato egiziano ma anche questo obbiettivo è fallito: certe compagnie di navigazione preferivano circumnavigare l’Africa piuttosto che pagare dei pedaggi più cari e lo stato egiziano ha dovuto abbassare le tariffe e in certi casi dimezzarle per non avere un crollo degli attraversamenti. In compenso l’allargamento del Canale ha innescato un riscaldamento delle acque del Mediterraneo dalle conseguenza imprevedibili su uno degli ecosistemi più splendidi del pianeta. Bel risultato vero?
Vent’anni di (non) politica dei trasporti in Italia
Ho fatto parte del gruppo di esperti che ha elaborato il Piano generale dei Trasporti e della Logistica di questo paese, tra l’altro proprio nel periodo 1998- 2001, dei governi Prodi, d’Alema e Amato, quando della compagine ministeriale faceva parte anche Piero Fassino. Avevo la responsabilità delle politiche per le merci e la logistica. Ricordo che non eravamo affatto convinti della necessità di costruire la Torino-Lione e diplomaticamente la definimmo un’opera “non prioritaria”. Quel Piano fu approvato dal CIPE e dal Parlamento con voto bipartisan. Ma vennero le elezioni, il Cavaliere, appena sceso in campo, vinse ed il suo Ministro delle Infrastrutture Lunardi prese il nostro Piano, lo buttò nel cestino e fece passare la famosa Legge Obbiettivo, che di Grandi Opere ne prevedeva parecchie ma non riuscì a realizzarne nessuna. Tornato Prodi al governo, il suo ministro Bianchi tentò un “Piano della mobilità” senza storia ed esito non dissimile ebbe il Piano della logistica del sottosegretario Giachino nell’ultimo governo Berlusconi. Fui chiamato ancora a dare una mano e fu il secondo lavoro inutile. Lì a buttare tutto nel cestino fu l’esimio Passera, Ministro del governo Monti.
Più impegnative le mosse del Ministro Delrio con il governo Renzi, che riuscì ad avviare alcune riforme importanti e soprattutto richiamò in servizio alcuni dei miei colleghi del Piano del 2001 con la costituzione di quella “Unità di missione” che aveva, tra gli altri compiti, quello di verificare se tutte le scelte sulle Grandi Opere da fare erano giuste o andavano riviste. Prima che arrivassero i 5 stelle al governo. In tutto questo periodo i partiti del centro-sinistra, ma soprattutto il Partito Democratico ed al suo interno con particolare accanimento la sua componente “torinese” (Fassino, Chiamparino ecc.), spalleggiati dal quotidiano di Carlo De Benedetti, continuarono ad alimentare l’entusiasmo per la Torino-Lione, diventandone dei fanatici sostenitori, in particolare per il ruolo che il traforo del Fréjus avrebbe avuto nel trasporto ferroviario delle merci.