Un circolo vizioso, in cui il lavoro – sottoposto alla pressione debitoria – si è gioco forza svalutato, deprimendo la domanda interna. Timidamente, senza far troppo clamore, avanza oggi una nuova proposta: l’aggettivo “nuovo” è retorico, ovviamente. Serve a quel tragico, indispensabile, processo retorico che prende il nome di “narrazione”. Figlia reietta delle ideologie, la narrazione precede la deriva manzoniana dell’inglesorum “storytelling”.
La nuova narrazione è la seguente: interveniamo sul piano della spesa pubblica massicciamente, l’occupazione creata farà aumentare i consumi e porterà ad un ripresa strutturale. La leva fiscale, e quindi i conti pubblici, beneficerà del principio conosciuto come “alta marea”. Orbene, la “narrazione”, riassunta, è non solo doverosa, ma abbraccia scampoli di civiltà perduta. Necessita però di due passaggi.
Il primo: la creazione di un istituto di credito totalmente pubblico, una sorta di banca del lavoro. E, per chi ha un po’ di memoria, anche questa non sarebbe una novità storica. Tale istituto dovrebbe almeno recuperare il 30% di investimenti pubblici tagliati dal 2011. Ma soprattutto tali investimenti, a debito, non dovrebbero essere contabilizzati all’interno dei parametri di Maastricht, e men che meno nel Fiscal Compact. Si tratta ovviamente di portare avanti una battaglia politica presso l’Unione Europea che, è bene saperlo fin dal principio, vedrebbe contrari, e molto contrariati, i vescovi della teologia dell’austerità teutonica nord europea.
Secondo: abbandonare totalmente la strada neo keynesiana e tornare al vecchio keynesismo. Questo avrebbe un doppio vantaggio. Oggi, per creare pochi posti di lavoro, e per di più mal pagati, sono necessarie immense risorse. Occorre invece investire laddove si interrompe questo processo perverso. Come, in cosa?
Se il mito fondativo della società post moderna – la reificazione delle merci, il feticismo del consumo compulsivo – sta manifestando i suoi limiti strutturali, l’uscita da questo collasso ideologico sociale quale via potrebbe prendere?
Maurizio Pagliassotti