C’era una volta la parità tra oro e dollaro. Per stampare dollari bisognava possedere una quantità di oro proporzionale (fissata a 35 dollari per oncia, ovvero 31,1 grammi di oro). Le altre monete avevano un cambio fisso con il dollaro (per l’Italia 1 dollaro equivaleva a 625 lire) e, sulla base di questo, fissavano la parità tra di loro.
Marco Bersani ci ricorda che per finanziare la guerra in Vietnam, gli Stati Uniti fusero 12.000 tonnellate di oro e le loro riserve si assottigliarono un bel po’. Fu così che il 14 agosto del 1971 il presidente americano Richard Nixon annunciò al mondo la fine della corrispondenza oro/dollaro e passò direttamente a stampare bigliettoni.
Fu un trauma per l’economia internazionale, fino al giorno prima regolata rigidamente da norme e procedure concordate tra i Paesi, e da allora in avanti sottoposta solo alle regole del mercato e alle sue idrovore esigenze.
Via via i movimenti di capitali vennero de-regolamentati, i mercati finanziari liberalizzati e, con l’aiuto delle tecnologie digitali, gli investimenti in borsa si moltiplicarono. Un processo che ha investito USA ed Europa attraverso gli anni ’70 e ’80.
Nell’ottobre 1979 il valore del dollaro prese il volo grazie alla politica monetaria di Paul Volcker, presidente della Federal Reserve (la banca centrale americana). I tassi di interesse si impennarono con conseguenze immediate e durature sui debiti pubblici e privati. Le possibilità di finanziamento pubblico e privato dipenderanno sempre più dai mercati borsistici.
Gli anni ’90 videro realizzarsi due importanti eventi:
– da un lato, la progressiva privatizzazione delle banche e la nascita, attraverso fusioni, di pochi e potenti colossi (dal 1990 al 2000 sono state effettuate nel mondo 7.500 fusioni e acquisizioni tra banche, del valore di 1.600 miliardi di dollari),
– dall’altro l’abolizione della separazione tra banche commerciali (quelle dove tutti noi apriamo un conto e depositiamo i nostri soldi con i quali la banca può fare prestiti ad altri) e banche di investimento (quelle che offrono servizi finanziari alle aziende e speculano sui mercati azionari, emettendo e negoziando titoli).
Financial Modernization Act
Il Financial Modernization Act, approvato nel 1999 dal Congresso degli Stati Uniti sotto il governo Clinton, eliminò le residue norme atte a disciplinare l’attività degli istituti bancari, abolendo così il Glass-Steagall Act, una norma fondamentale del New Deal di Roosevelt risalente al 1933, che sanciva la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento per proteggere l’economia reale dai rischi finanziari.
Le banche, finalmente privatizzate e pronte a tuffarsi nel mercato, saranno da quel momento in avanti libere di metter mano ai depositi dei risparmiatori, per giocare con oscillazioni e volatilità e rincorrere i loro profitti.
Per dare un valore a tutto questo, cito ancora Marco Bersani: “Se l’insieme del commercio mondiale di beni e servizi tra Paesi è pari a 20.000 miliardi di dollari l’anno, la stessa cifra si realizza sui mercati finanziari in soli 5 giorni“.
Ma chi interviene quando il panico finanziario si scatena?
Tiziana Ripani
(2 – alla prossima puntata)