È un riflesso condizionato: nel Governo italiano cambiano le maggioranze, i protagonisti, ma la vecchia retorica liberista non cambia mai. Trump sarà pure brutto e sovranista, ma quando forza un negoziato di liberalizzazione commerciale, non trova ostacoli.
Nel negoziato si cerca di mettere in discussione il principio di precauzione e le regole di qualità e sicurezza alimentare e sanitaria, cosa che a Roma e a Bruxelles non trova ostacoli. Se con piglio deciso Trump minaccia nuovi dazi, senza parlare di revocare i vecchi, ecco che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen assicura la conclusione della trattativa entro le prossime settimane. E il ministro italiano per i rapporti con l’Ue Enzo Amendola conferma che un accordo va pur trovato. Non importa se l’agenzia per il Commercio e lo Sviluppo delle Nazioni Unite (Unctad) spieghi ormai da diversi anni che nessun Green New Deal sarà credibile senza mettere limiti agli scambi più inquinanti. Non importa se la stessa von der Leyen abbia proposto una carbon tax alle frontiere Ue per le merci più inquinanti, che colpirebbe la maggior parte dei prodotti Usa potenzialmente facilitati dal nuovo TTIP.
IN UNA CONFERENZA congiunta tra parlamentari e associazioni contrarie al nuovo TTIP che si è tenuta l’11 febbraio alla Camera dei Deputati, il senatore Saverio De Bonis ha notato che «i ministri di Agricoltura e Salute avrebbero dovuto sedersi qui al primo banco perché la nostra agricoltura è in grande difficoltà, come la nostra salute». Antonio Onorati di ARI ha denunciato che «i dati dell’export italiano chiariscono che il nostro principale mercato è l’Europa ma il governo non sembra capire che dobbiamo evitare di saturarlo con la competizione al ribasso dei prodotti Usa».
L’ex ministro alla Ricerca Lorenzo Fioramonti ha notato che «non ci vuole Dani Rodrik per spiegare che la vecchia globalizzazione incarnata nel ‘nuovo TTIP’ non funziona per l’economia come per l’ambiente. E che non possiamo lasciare il tema della protezione della qualità e dei territori a chi pratica un nazionalismo settecentesco». Stefano Fassina di LeU ha ricordato che «abbiamo presentato una mozione sul trattato Europa-Canada che non dice solo “No”, ma dà delle linee guida di tutela sociale e ambientale che potrebbero porre l’Italia come capofila e laboratorio di un nuovo commercio». Un concetto ripreso anche dalla ex M5S Paola Nugnes e da Paolo Venezia di Slow Food che ha aggiunto: «I vecchi accordi commerciali sono contro quello che noi cerchiamo di fare: difendere un modello di produzione che fa bene al Pianeta».
Maurizio Acerbo del Prc, in un messaggio, ha ricordato che il nuovo Ttip «farà lievitare la produzione di emissioni climalteranti, in contrasto con quel Green Deal europeo di cui l’Italia si è dichiarata paladina». D’altronde, secondo Manlio Masucci di Navdanya International «è chiaro che l’Italia come l’Ue, fanno fatica a promuovere una coerenza complessiva tra impegni e azioni». Per di più, «se giochiamo sull’agricoltura comprimendo il suo valore economico e sociale – ha aggiunto Francesco Panié di Terra! – il contrasto al caporalato sarà impossibile». «Il commercio sta diventando un assopigliatutto che interferisce sui diritti dei cittadini – ha denunciato Giacomo Barbieri dell’internazionale della Cgil – e nel contesto di alta ricattabilità in cui Trump ci mette, da Amendola dovrebbe arrivare una richiesta di confronto sulle alternative cui tutti saremmo disponibili».
LA REAZIONE parlamentare e associativa è netta, perché incomprensibile è stata la fuga in avanti della ministra per l’Agricoltura italiana Teresa Bellanova che ha promesso collaborazione al collega statunitense Sonny Perdue, soprattutto sul nuovo biotech agroalimentare. Eppure tutti i governi europei riuniti in Consiglio avevano negato alla Commissione il mandato per trattare sull’agricoltura. Rossella Muroni, deputata ex presidente di Legambiente, come la collega ex M5S Sara Cunial hanno chiarito che «su ambiente, sicurezza alimentare, salute e diritti non si tratta. Dall’esecutivo vorrei una parola chiara contro ogni ipotesi di trattato che abbia le caratteristiche citate». La senatrice Loredana De Petris (LeU) ha espresso adesione alla nuova campagna. Federica Ferrario di Greenpeace, come Elisa D’Aloisio del Movimento Terra Contadina, hanno puntato il dito contro «un tentativo di aggirare le norme europee per permettere ad alcuni centri di ricerca e aziende di lanciarsi nel business delle nuove biotecnologie, che la Corte Europea di Giustizia ha valutato dover essere limitate proprio come i vecchi Ogm».
Maria Grazia Mammuccini di FederBio ha spiegato che «anche dagli Stati Uniti il biologico e i prodotti autoctoni sono i più richiesti, tutte cose che non riusciremo a garantire con gli accordi come questo e con le nuove biotecnologie».
Anche i Fridays for Future si schierano: «Crediamo che non sia possibile nessun tipo di trattativa con uno Stato il cui presidente Trump disconosce l’emergenza climatica» scrivono in una nota, condividendo la proposta dell’apertura di un tavolo di confronto con il Governo lanciata da associazioni e parlamentari. Ora palla passa a Palazzo Chigi: o Trump o il futuro. Tertium non datur.
*Monica Di Sisto è portavoce della Campagna Stop TTIP/CETA Italia