La prima (e per ora unica) grande città italiana
che ha messo in atto l’esito referendario
sull’acqua pubblica
sprona i Comuni a scrollarsi di dosso
il debito ingiusto
e a difendere i beni comuni
a vantaggio delle generazioni presenti e future


NUOVA VITA AI COMUNI

Per una finanza pubblica locale
orientata costituzionalmente
verso i bisogni e i diritti della cittadinanza

Lettera aperta del prof. Paolo Maddalena
al presidente dell'ANCI
per una nuova direzione dei Comuni italiani

Tiziana Ripani

Al presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni Italiani, Antonio Decaro – sindaco di Bari – è rivolto l’appello di Paolo Maddalena – presidente emerito della Corte costituzionale, giurista e magistrato, e attualmente presidente di un organismo unico in Italia: la Consulta per l’audit sulle risorse e sul debito del Comune di Napoli.

Di fronte al rischio di fallimento, in piena emergenza sanitaria, economica e sociale, mentre i loro compiti di protezione ora e di ricostruzione poi aumentano, molti Comuni italiani chiedono maggiori finanziamenti. Ma Paolo Maddalena non ritiene sufficiente chiedere più soldi al governo, ed auspica un radicale cambio di prospettiva e di regole. La richiesta rivolta ad Antonio Decaro è quella di “promuovere e coordinare un’azione volta a ottenere la cancellazione della quota di debito illegittimo dei Comuni e la sospensione immediata dei vincoli finanziari imposti dal Governo centrale agli enti locali, che a oggi gli impediscono di investire le risorse necessarie per fronteggiare la crisi.
Sin dalla fase 1 il Governo ha sospeso i mutui privati. La stessa Unione Europea ha sospeso nei confronti degli Stati i vincoli posti dal Patto di stabilità e crescita.
È paradossale che il Governo abbia dimenticato di fare lo stesso per gli enti locali, che sono in primissima linea nella risposta ai bisogni.”

I vincoli finanziari imposti negli ultimi anni dai governi ai Comuni li hanno costretti al pagamento del debito nazionale, sebbene tale debito sia imputabile per oltre il 94% all’amministrazione centrale dello stato, e solo per l’1,8% ai Comuni, e questo ha significato tagli drastici ai servizi essenziali e progressiva svendita dei patrimoni comunali.

Queste in sintesi le proposte operative contenute nell’appello di Paolo Maddalena:

  • sospensione del Patto di stabilità interno e del pareggio di bilancio per i Comuni, analogamente a quanto fatto dall’Ue per gli Stati;
  • approvazione del decreto attuativo dell’art. 39 del DL 162/2019, convertito nella Legge n. 8/2020, che prevede l’accollo allo Stato dei mutui in essere con Cassa Depositi e Prestiti, al fine di ridurne drasticamente i tassi di interesse;
  • no alla proposta di rinegoziazione dei mutui fatta da Cassa Depositi e Prestiti per i quali i Comuni pagano tassi del 4-5% quando il costo del denaro è vicino allo zero;
  • accesso a finanziamenti a tasso zero per gli investimenti dei Comuni per il biennio 2020-2021, come è stato fatto per le imprese;
  • annullamento di tutti i debiti dovuti a derivati, nell’ottica dell’annullamento del debito ingiusto e illegittimo (anche in base alla recente sentenza della Cassazione del 12 Maggio 2020 che ha dichiarato nulli i contratti derivati sottoscritti dal Comune di Cattolica con la Banca Nazionale del Lavoro che non erano stati approvati da apposita delibera del Consiglio Comunale);
  • apertura del Fondo Nazionale di Solidarietà per i Comuni – sulla base dell’attuale Fondo di Solidarietà Comunale – per garantire a tutti i Comuni le risorse necessarie per l’emergenza economica e il riavvio delle comunità locali.

“C’è bisogno che la Cassa Depositi e Prestiti diventi nuovamente un ente di diritto pubblico affinché elargisca prestiti ai Comuni, con un tasso vicino allo zero e non più a prezzi di mercato; c’è bisogno di ri-contrattualizzare i debiti pregressi con tassi troppo alti; c’è bisogno che i Comuni si liberino definitivamente dei contratti di finanza derivata, perché non si può giocare al casinò con i soldi della cittadinanza.”

Se “Niente sarà più come prima“, allora le comunità territoriali e i Comuni – luoghi primari della democrazia di prossimità – devono afferrare questa “occasione” e diventare il nucleo di un nuovo modello di società, equa in termini sociali ed ecologici. Diversamente gli interessi dei mercati finanziari compiranno la definitiva spoliazione di territori, beni comuni e diritti sociali.

 

Suggerimenti



DIRITTO DI AUDIT

Se il debito è pubblico,
pubblicamente vogliamo decidere
cosa pagare e cosa no!

Napoli si ribella al debito ingiusto
e si Consulta con cittadini ed esperti

Cos’è un debito ingiusto (in tutte le sfumature da odioso, a illegale o illegittimo)?

Secondo Eric Toussaint, lo storico belga che presiede tra l’altro il Cadtm, il Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi, «affinché un debito contratto da un governo regolare in un modo altrettanto regolare possa essere considerato odioso occorre dimostrare che gli obiettivi, per i quali i debiti furono contratti, fossero palesemente contrari agli interessi di tutto o di una parte del territorio e che i creditori al momento dell’emissione del prestito fossero al corrente della finalità odiosa».

Il debito ingiusto secondo Toussaint va ripudiato, come hanno fatto con successo negli ultimi due secoli Messico, Stati Uniti, Cuba, Costa Rica, Russia e, in tempi più recenti, l’Ecuador che, attraverso i comitati per l’audit, ha annullato il debito nei confronti del Fondo monetario internazionale .

Alla luce dell’attività della Commissione parlamentare di verità sul debito pubblico greco, la Comunità Europea ha emanato il Regolamento n. 472/2013 del 21/5/2013 sul diritto di fare audit.

I lavori della Commissione per la verità sul debito greco hanno ispirato numerose esperienze in Europa e nel mondo.

In Italia, Napoli si è distinta per un esperimento ineguagliato sinora. Sotto la spinta dei movimenti di base locali, in rete con quelli nazionali sul tema del debito illegittimo, l’11 luglio 2018 l’amministrazione guidata da Luigi de Magistris ha istituito la Consulta Pubblica di Audit sulle risorse e sul debito della città di Napoli, primo esempio in Europa di un organismo istituzionale sul debito.

Promuovere la democrazia di prossimità

L’audit è un’indagine indipendente che ha il compito di chiarire come si è formato il debito (un macigno che a Napoli pesa 2,7 miliardi di euro) e contrastare concretamente l’illegittimità di quello ingiusto per liberare risorse utili al soddisfacimento dei bisogni fondamentali della comunità.

Guidata dal Presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena, la Consulta napoletana si avvale del lavoro – a titolo gratuito – di venti cittadini con comprovate competenze in campo giuridico, economico, sociale, ambientale, lavoristico e dell’attivismo sociale.

Il suo lavoro è organizzato in tre sotto-commissioni, in stretto contatto con l’assessorato al Bilancio: Enti Locali e Debito Ingiusto, Nuova Finanza Pubblica e Derivati, Dismissioni, ossia il censimento del patrimonio pubblico messo in vendita a copertura del bilancio.

In soli otto mesi, la Consulta ha analizzato i debiti derivanti dai vari commissariamenti della città di Napoli, i titoli derivati e le operazioni finanziarie sorte tra il 2004 e il 2006 che oggi mostrano i loro effetti dirompenti, i mutui con Cassa Depositi e Prestiti con tassi di interesse fuori mercato, e molto altro.

Un atto di indirizzo politico, il primo del suo genere in Europa

Il primo traguardo dei lavori della Consulta è stata la storica delibera di Giunta n. 117 del 24 aprile 2020 sul rifiuto di una parte del debito del Comune di Napoli, risultato ottenuto grazie anche al contributo dell’Osservatorio permanente sui beni comuni della città di Napoli – un altro importante organismo istituito dal Comune – e al lavoro storico di associazioni e movimenti come Cadtm, Attac e Massa Critica.

La delibera giunge nel momento di massima emergenza sanitaria quando sono proprio i Comuni a dover dare risposte consistenti alla cittadinanza, quei Comuni falcidiati da 20 anni di pareggi di bilanci e da un’austerità che ha generato nuovo debito.

Quali sono i debiti sotto accusa?

Innanzitutto quelli derivanti da negoziazioni poste in essere da Commissari straordinari, soggetti non eletti, le cui scelte non possono gravare sulle casse del Comune ma sulla responsabilità dello Stato che li ha nominati. I diversi commissariamenti hanno generato un debito, quantificato per difetto in 300 milioni di euro, e riguardano in particolare il commissariamento post-terremoto del 1980 (nel momento in cui Tangentopoli si impadroniva della politica italiana), durato per incredibili 40 anni; quello relativo alla bonifica del territorio di Bagnoli; quello connesso all’emergenza rifiuti e altri minori.

Seguono poi i contratti di acquisto di derivati e altri simili strumenti finanziari ormai fuorilegge, che possono essere annullati sulla base di una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inesigibili i derivati sottoscritti dai Comuni senza apposita delibera del Consiglio comunale.

E poi la nota dolente dei mutui stipulati con Cassa Depositi e Prestiti (CDP), l’ente che un tempo gestiva il risparmio postale degli italiani e finanziava opere di pubblica utilità. Peccato che nel 2003 CDP sia stata privatizzata per diventare una società per azioni, anche se il suo principale azionista è il ministero di Economia e Finanze (84%) in bella compagnia con le Fondazioni bancarie (16%).

Napoli ha contratto quasi 700 mutui, la maggior parte dei quali con CDP, per un valore di circa 2 miliardi di euro a tassi di interesse del 4/5% mentre quelli di mercato sono intorno all’1%.

Certo, la delibera di Napoli è un atto di indirizzo politico a cui si dovrà dare attuazione ma il suo significato più importante è quello di invertire la litania dominante dettata dal liberismo predatorio: non ci sono i soldi, c’è il debito.

Se volete saperne di più, ascoltate questa conversazione su Radio Quarantella con Maria Francesca De Tullio, Vincenzo Benessere e Ferdinando Capuozzo, membri della Consulta Audit del debito della Città di Napoli.

 

Suggerimenti



UNA NAPOLI FUORI DAL COMUNE

Un ex-asilo destinato al Grande Evento
diventa asilo della conoscenza
e della creatività

Occupare vuol dire occuparsene,
avere cura e mettere a disposizione
un bene comune a un'intera comunità

Ristrutturato di fresco, l’ex-Asilo Filangieri di Napoli – parte del complesso cinquecentesco di San Gregorio Armeno per l’esercizio di arti e mestieri – ospitava nel 2012 le attività di una Fondazione incaricata di realizzare il grande evento del Forum Universale delle Culture 2013, una vicenda dalla gestione controversa e fallimentare.

In aperto contrasto con le politiche accentratrici dei grandi eventi culturali generatori di sprechi, il 2 marzo 2012 inizia l’occupazione del terzo piano dell’ex Asilo Filangieri, su iniziativa di lavoratrici e lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo riuniti nel collettivo La Balena, al quale si uniscono presto movimenti cittadini e studenteschi.

Lʼoccupazione, inizialmente pensata come temporanea, mirava ad aprire il luogo alla città e ad avviare in esso una riflessione collettiva sui beni comuni e sulle politiche sociali e culturali. L’iniziativa ha subito un grande seguito nella cittadinanza e dà avvio ad un’inaspettata aggregazione e condivisione, al punto che gli occupanti decidono di proseguire il presidio.

Un processo costituente di autodeterminazione. L’Asilo si prende il suo tempo e invita le amministrazioni a restare in ascolto di ciò che sta avvenendo, a prendere atto dell’anomalia di quella esperienza senza snaturarla e incanalarla in forme giuridiche già conosciute.

si ragiona sul diritto e sulla proprietà

Nelle pubbliche assemblee aperte dell’Asilo, si ragiona sul diritto e sulla proprietà, si matura un nuovo pensiero sull’autogoverno di spazi pubblici e, a partire dalle pratiche concrete di uso degli spazi, la comunità elabora, con il metodo del consenso, le sue regole basate sull’inclusione e sulla cooperazione.  All’uso e alle attività si accede senza prezzi vincolanti, e gli spazi divengono un mezzo di produzione condiviso che consente ad artisti e artiste di sperimentare modalità di lavoro cooperative, nonché abbattere i costi di produzione provando o esibendosi in modo libero e gratuito. Dunque, il governo del bene segue un approccio aperto, ma non neutrale: esso si basa su antifascismo, antirazzismo e antisessismo e si pone il problema di agire proattivamente per abbattere i fattori di esclusione.” (Maria Francesca De Tullio)

l’antico istituto degli usi civici, collegato al concetto di bene comune

Se l’occupazione di uno spazio può essere in balia dei mutevoli venti della politica schiacciata dalla finanza, il genio collettivo dell’Asilo è riuscito ad invenire nel diritto stesso un istituto giuridico antico, quello degli “usi civici”, che ha garantito per secoli alle genti l’uso di beni come boschi e fiumi, e di collegarlo al concetto di “bene comune”, superando la contrapposizione tra proprietà pubblica e privata.

Bisogna ricordare che il Comune di Napoli, con Luigi de Magistris neo-sindaco, aveva fatto un passo rivoluzionario in questo senso già nel settembre 2011, introducendo nello Statuto stesso del Comune la nuova categoria giuridica di “bene comune”“anche al fine di tutelare le generazioni future, riconosce i beni comuni in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico e ne garantisce il pieno godimento nell’ambito delle competenze comunali.”

A circa tre mesi dall’occupazione, il 25 maggio 2012 la Giunta comunale di Napoli prende ufficialmente atto del percorso portato avanti dalla comunità di lavoratrici e lavoratori e delibera di destinare la struttura dell’ex Asilo Filangieri «a luogo di utilizzo complesso in ambito culturale», e che la stessa, «in coerenza con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 43 della Costituzione, al fine di agevolare una prassi costitutiva di ‘uso civico’ del bene comune da parte della comunità dei lavoratori e delle lavoratrici dell’immateriale», «è utilizzata per sperimentare e garantire l’ampliamento e lo svolgimento dei processi partecipativi, articolati attraverso una programmazione delle attività e del conseguente utilizzo e gestione degli spazi da parte dei lavoratori dell’immateriale».

Ma l’Asilo non si ferma qui. Tra produzione di spettacoli di teatro e danza, cinema, mostre, presentazioni di libri, iniziative per l’infanzia continua il percorso assembleare di affinamento di forme e regole di autogoverno  e di gestione – un percorso durato dal 2012 al 2015 che porta alla scrittura della Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano, poi presentata al Comune che l’ha accolta con la delibera del 29/12/2015, in cui riconosce anche l’alto profilo qualitativo delle numerosissime attività realizzate nell’Asilo e l’intensiva “messa a reddito civica” della struttura.

L’«uso civico e collettivo urbano» originato dalla sperimentazione del Filangieri è altro dalla proprietà e dagli affidamenti o assegnazioni a soggetti, “riconosce l’autogoverno aperto della comunità e impegna l’istituzione proprietaria a garantire l’accessibilità del bene, facendosi carico tra l’altro delle utenze e dei lavori straordinari”, come racconta Maria Francesca De Tullio, una delle anime dell’Asilo. La legittimazione di questo istituto è stata trovata direttamente nella Costituzione, in particolare nei diritti di partecipazione (artt. 48 e 49) – completati dal principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4) – nella funzione sociale della proprietà (art. 42), nella possibilità di affidare servizi essenziali a comunità di lavoratori e utenti (art. 43) e, soprattutto, nell’uguaglianza sostanziale (art.3, comma 2).”

L’esperienza del Filangieri, e la spinta della rete napoletana, hanno fatto di Napoli la città più avanzata in Italia in tema di beni comuni: oltre ad aver inserito nel suo stesso Statuto un istituto giuridico mai riconosciuto prima, il Comune ha istituito nuovi organi pubblici cittadini: l’Osservatorio permanente sui beni comuni (2013) e la Consulta di Audit sul debito e sulle risorse della città di Napoli (2018).

E a giugno 2016 altri sette spazi liberati sono stati dichiarati di uso civico e collettivo per il loro valore di beni comuni.

Invece Torino…
… città perbene illuminata da sottili maîtres à penser, ha affidato a un istituto più rassicurante la gestione dei suoi beni comuni: la Fondazione, istituto già regnante in città, viene introdotta anche nel Regolamento per la gestione dei beni comuni approvato dal Consiglio comunale a dicembre 2019. L’Articolo 7 recita: La Città… può affidare, secondo le procedure previste dalla normativa vigente… in usufrutto di breve durata i beni comuni urbani, già riconosciuti come tali da una Comunità di Riferimento, ad una specialeFondazione Beni Comuni“… Al termine del periodo di affidamento in usufrutto di breve durata il bene, in accordo con la Comunità di Riferimento e verificato il rispetto dei fini statutari, può essere conferito in via definitiva alla Fondazione.”

C’è chi sostiene che solo una Fondazione può mettere al riparo un bene comune dalle ondivaghe decisioni della politica. Ma cosa conta una Comunità di riferimento di fronte al potere di una Fondazione a cui il bene viene conferito definitivamente?
Il piano per la rigenerazione della Cavallerizza Reale, bene pubblico, è capitanato dalla magnifica cordata composta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo – l’azionista di Intesa SanPaolo che ha in mano una parte importante del debito della città – e dall’immobiliare controllata da Cassa Depositi e Prestiti SpA.

Torino, città prona al debito, non osa rimetterlo in discussione di fronte ai principi munifici di San Paolo e di Unicredit. Essi continuano a estrarre valore dal castello dei pagherò e forse dispenseranno alcuni metri quadrati alla riserva indiana degli ex-occupanti.

Quel che serve per valorizzare è: privatizzare!

Tiziana Ripani

8 giugno 2020
aggiornato il 14 giugno 2020

 

Suggerimenti


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