Ristrutturato di fresco, l’ex-Asilo Filangieri di Napoli – parte del complesso cinquecentesco di San Gregorio Armeno per l’esercizio di arti e mestieri – ospitava nel 2012 le attività di una Fondazione incaricata di realizzare il grande evento del Forum Universale delle Culture 2013, una vicenda dalla gestione controversa e fallimentare.
In aperto contrasto con le politiche accentratrici dei grandi eventi culturali generatori di sprechi, il 2 marzo 2012 inizia l’occupazione del terzo piano dell’ex Asilo Filangieri, su iniziativa di lavoratrici e lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo riuniti nel collettivo La Balena, al quale si uniscono presto movimenti cittadini e studenteschi.
Lʼoccupazione, inizialmente pensata come temporanea, mirava ad aprire il luogo alla città e ad avviare in esso una riflessione collettiva sui beni comuni e sulle politiche sociali e culturali. L’iniziativa ha subito un grande seguito nella cittadinanza e dà avvio ad un’inaspettata aggregazione e condivisione, al punto che gli occupanti decidono di proseguire il presidio.
Un processo costituente di autodeterminazione. L’Asilo si prende il suo tempo e invita le amministrazioni a restare in ascolto di ciò che sta avvenendo, a prendere atto dell’anomalia di quella esperienza senza snaturarla e incanalarla in forme giuridiche già conosciute.
si ragiona sul diritto e sulla proprietà
Nelle pubbliche assemblee aperte dell’Asilo, si ragiona sul diritto e sulla proprietà, si matura un nuovo pensiero sull’autogoverno di spazi pubblici e, a partire dalle pratiche concrete di uso degli spazi, la comunità elabora, con il metodo del consenso, le sue regole basate sull’inclusione e sulla cooperazione. “All’uso e alle attività si accede senza prezzi vincolanti, e gli spazi divengono un mezzo di produzione condiviso che consente ad artisti e artiste di sperimentare modalità di lavoro cooperative, nonché abbattere i costi di produzione provando o esibendosi in modo libero e gratuito. Dunque, il governo del bene segue un approccio aperto, ma non neutrale: esso si basa su antifascismo, antirazzismo e antisessismo e si pone il problema di agire proattivamente per abbattere i fattori di esclusione.” (Maria Francesca De Tullio)
l’antico istituto degli usi civici, collegato al concetto di bene comune
Se l’occupazione di uno spazio può essere in balia dei mutevoli venti della politica schiacciata dalla finanza, il genio collettivo dell’Asilo è riuscito ad invenire nel diritto stesso un istituto giuridico antico, quello degli “usi civici”, che ha garantito per secoli alle genti l’uso di beni come boschi e fiumi, e di collegarlo al concetto di “bene comune”, superando la contrapposizione tra proprietà pubblica e privata.
Bisogna ricordare che il Comune di Napoli, con Luigi de Magistris neo-sindaco, aveva fatto un passo rivoluzionario in questo senso già nel settembre 2011, introducendo nello Statuto stesso del Comune la nuova categoria giuridica di “bene comune”: “anche al fine di tutelare le generazioni future, riconosce i beni comuni in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona nel suo contesto ecologico e ne garantisce il pieno godimento nell’ambito delle competenze comunali.”
A circa tre mesi dall’occupazione, il 25 maggio 2012 la Giunta comunale di Napoli prende ufficialmente atto del percorso portato avanti dalla comunità di lavoratrici e lavoratori e delibera di destinare la struttura dell’ex Asilo Filangieri «a luogo di utilizzo complesso in ambito culturale», e che la stessa, «in coerenza con una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 43 della Costituzione, al fine di agevolare una prassi costitutiva di ‘uso civico’ del bene comune da parte della comunità dei lavoratori e delle lavoratrici dell’immateriale», «è utilizzata per sperimentare e garantire l’ampliamento e lo svolgimento dei processi partecipativi, articolati attraverso una programmazione delle attività e del conseguente utilizzo e gestione degli spazi da parte dei lavoratori dell’immateriale».
Ma l’Asilo non si ferma qui. Tra produzione di spettacoli di teatro e danza, cinema, mostre, presentazioni di libri, iniziative per l’infanzia continua il percorso assembleare di affinamento di forme e regole di autogoverno e di gestione – un percorso durato dal 2012 al 2015 che porta alla scrittura della Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano, poi presentata al Comune che l’ha accolta con la delibera del 29/12/2015, in cui riconosce anche l’alto profilo qualitativo delle numerosissime attività realizzate nell’Asilo e l’intensiva “messa a reddito civica” della struttura.
L’«uso civico e collettivo urbano» originato dalla sperimentazione del Filangieri è altro dalla proprietà e dagli affidamenti o assegnazioni a soggetti, “riconosce l’autogoverno aperto della comunità e impegna l’istituzione proprietaria a garantire l’accessibilità del bene, facendosi carico tra l’altro delle utenze e dei lavori straordinari”, come racconta Maria Francesca De Tullio, una delle anime dell’Asilo. “La legittimazione di questo istituto è stata trovata direttamente nella Costituzione, in particolare nei diritti di partecipazione (artt. 48 e 49) – completati dal principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, comma 4) – nella funzione sociale della proprietà (art. 42), nella possibilità di affidare servizi essenziali a comunità di lavoratori e utenti (art. 43) e, soprattutto, nell’uguaglianza sostanziale (art.3, comma 2).”
L’esperienza del Filangieri, e la spinta della rete napoletana, hanno fatto di Napoli la città più avanzata in Italia in tema di beni comuni: oltre ad aver inserito nel suo stesso Statuto un istituto giuridico mai riconosciuto prima, il Comune ha istituito nuovi organi pubblici cittadini: l’Osservatorio permanente sui beni comuni (2013) e la Consulta di Audit sul debito e sulle risorse della città di Napoli (2018).
E a giugno 2016 altri sette spazi liberati sono stati dichiarati di uso civico e collettivo per il loro valore di beni comuni.
Invece Torino…
… città perbene illuminata da sottili maîtres à penser, ha affidato a un istituto più rassicurante la gestione dei suoi beni comuni: la Fondazione, istituto già regnante in città, viene introdotta anche nel Regolamento per la gestione dei beni comuni approvato dal Consiglio comunale a dicembre 2019. L’Articolo 7 recita: “La Città… può affidare, secondo le procedure previste dalla normativa vigente… in usufrutto di breve durata i beni comuni urbani, già riconosciuti come tali da una Comunità di Riferimento, ad una speciale “Fondazione Beni Comuni“… Al termine del periodo di affidamento in usufrutto di breve durata il bene, in accordo con la Comunità di Riferimento e verificato il rispetto dei fini statutari, può essere conferito in via definitiva alla Fondazione.”
C’è chi sostiene che solo una Fondazione può mettere al riparo un bene comune dalle ondivaghe decisioni della politica. Ma cosa conta una Comunità di riferimento di fronte al potere di una Fondazione a cui il bene viene conferito definitivamente?
Il piano per la rigenerazione della Cavallerizza Reale, bene pubblico, è capitanato dalla magnifica cordata composta dalla Fondazione Compagnia di San Paolo – l’azionista di Intesa SanPaolo che ha in mano una parte importante del debito della città – e dall’immobiliare controllata da Cassa Depositi e Prestiti SpA.
Torino, città prona al debito, non osa rimetterlo in discussione di fronte ai principi munifici di San Paolo e di Unicredit. Essi continuano a estrarre valore dal castello dei pagherò e forse dispenseranno alcuni metri quadrati alla riserva indiana degli ex-occupanti.
Quel che serve per valorizzare è: privatizzare!
Tiziana Ripani
8 giugno 2020
aggiornato il 14 giugno 2020