Salvataggi pubblici di banche private: la grande truffa

Quanto è costato veramente il salvataggio delle banche americane dopo lo scoppio della bolla dei subprime nel 2008? Lo si è scoperto nel 2011, tre anni dopo il crack, grazie al lavoro investigativo dell’agenzia di stampa americana Bloomberg. Il conto totale per salvare le banche “troppo grandi per fallire” fu una bordata di 7.700 miliardi di dollari di liquidità (ben più del piano TARP di soli 700 miliardi), immessi dalla Fed nel sistema finanziario americano, durante la crisi del 2007-2009, a tassi vicino allo zero. Un megasalvataggio attuato quasi di soppiatto e senza condizioni per chi aveva creato il disastro.

Molti pensano che la finanziarizzazione dell’economia, il gigantismo delle banche, la finanza spregiudicata che ha prodotto denaro dal nulla siano fenomeni principalmente americani. Il professor Luciano Gallino, nel suo saggio Il colpo di stato di banche e governi – L’attacco alla democrazia in Europa (Einaudi, 2013) sostiene che il sistema bancario europeo si è comportato allo stesso modo (e con impatti più pesanti) di quello statunitense: “A fine 2007 tra i primi venti gruppi bancari del mondo per volume degli attivi, ben 14 erano europei, di cui due svizzeri. Due erano giapponesi, uno cinese. Quelli americani erano solo tre (Citigroup, Bank of America, JP Morgan)… In totale le banche europee detenevano attivi per 28,2 trilioni di dollari… Per contro gli attivi delle tre banche USA incluse nell’elenco delle top venti ammontavano in tutto a 5,5 trilioni di dollari”.

Lo scoppio della bolla finanziaria negli States ha segnato l’inizio di un’epidemia a livello globale e l’Europa delle banche ne è stata pienamente contagiata.

La Commissione Europea ha calcolato che, tra l’ottobre del 2008 e l’ottobre del 2011, i governi nazionali hanno mobilitato 4.500 miliardi di euro di risorse pubbliche per sostenere e garantire le proprie banche. Pensate che gli aiuti di Stato, in tutti gli altri settori dell’economia reale, sono vietati dal trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

L’aumento sostanzioso del debito pubblico nei paesi dell’Unione Europea tra il 2008 e 2010 è imputabile quasi per intero ai salvataggi del sistema bancario privato e non stato è causato, come da più parti si afferma, da un eccesso di spesa pubblica nel settore della protezione sociale.

Secondo l’economista Marco Vitale, “questa è stata la base ideologica per far partire l’azione di smantellamento del modello europeo di stato sociale (uno dei beni più preziosi dell’Europa) e le politiche di austerità che, per come sono state impostate e condotte, è corretto definire suicide. Il peso della responsabilità è stato rovesciato: era dei banchieri criminaloidi, è diventato dei cittadini, trasformati in una sorta di “soggetti finanziari traumatizzati”.

L’economia reale porta ancora oggi sulle spalle il peso enorme dei salvataggi finanziari: tassi di disoccupazione in aumento, crescita sempre più ridotta, salari al ribasso combinati a feroci tagli alle spese sociali.

In Italia, per il salvataggio delle banche nostrane abbiamo dovuto attendere fino al 2015: il nostro debito pubblico era già elevato e non poteva essere ulteriormente accresciuto. Ma dal 2015 abbiamo varato l’operazione “socializziamo le perdite” mettendo a disposizione le ricchezze collettive per salvare i banchieri. Con i denari dei contribuenti e dei risparmiatori italiani l’hanno fatta franca Monte dei Paschi di Siena, Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e i loro direttori generali. Il conto – finora – è stato di 31 miliardi di euro.

In Il colpo di stato di banche e governi, Luciano Gallino afferma: “La fabbrica dell’egemonia e, gramscianamente parlando, del consenso che non ha bisogno (quasi mai) di ricorrere alla violenza, gira a pieno regime. Senza di essa il colpo effettuato da banche e stati europei contro lo stato sociale e il lavoro non sarebbe stato possibile… è forse dallo smontaggio di tale fabbrica che bisognerebbe incominciare”.

 

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