Oltre i limiti dello sviluppo.
Sarebbe stato interessante domandare ai manifestanti di sabato mattina: “se in questo momento giungessero altre 40.000 persone, in questa piazza, e volessero entrare a ogni costo… voi cosa gli rispondereste?”.
La piazza di sabato mattina a Torino, che ad appena due giorni dalla materializzazione è già stata trasformata in qualcosa di diverso e decisamente più scontato – la nascita di un partito – aveva come obbiettivo la realizzazione della Torino-Lione: anzi, del secondo tunnel Torino-Lione, quello alla base della montagna.
Perché?
Come già affermato diversi anni fa da Luca Rastello “la Val Susa è il punto della galassia più lontano da Torino”, i torinesi non hanno alcun rapporto con la valle, sopratutto i torinesi che erano in piazza.
Quella lunga lingua di terra pianeggiante che improvvisamente, dalle parti di Susa, inizia ad arrampicarsi in montagna altro non è che un corridoio obbligatorio che porta alle piste da sci di Sestriere, Salice d’Ulzio, Claviere, alla via Lattea. Al di là della dimensione geografica che certifica la lontananza, la maggiore lontananza esistente in natura, della città dalla sua valle, esiste una lontananza ancora superiore, siderale.
La lontananza ideologica, che si evince dalle parole di una delle sette organizzatrici della manifestazione di sabato, Giovanna Giordano, quando pubblicamente chiede ai valligiani notav di “scegliere una delle meravigliose valli del Piemonte e lì spostarsi con una pecora o una mucca. E che lascino vivere noi”.
Una battuta di spirito, si dirà.
Ma, come sempre accade, dietro il lazzo si nasconde una verità, ovvero il nodo grosso giunto al pettine, quello dei limiti dello sviluppo. Cosa si fa di un territorio che ha raggiunto tale confine? Come un piazza strapiena dove però si vuole entrare a tutti i costi, sfidando la legge sull’impenetrabilità dei corpi. Si deporta altrove chi tenta di opporsi?
Nell’epoca della post ideologia questa è la visione più ideologica di sempre.
Lasciamo perdere ogni considerazione tecnica, ogni confutazione scientifica, lasciamo perdere la salvifica valutazione costi-benefici.
Nel caso della Val Susa, le risposte vengono affidate niente meno che a valori, non in senso greco, econometrici.
Ci si affida, come fa il ministro, a valutazioni scientifiche che saranno validate da esperti.
Esperti che, si immagina, avranno come unico scopo mettere in una speciale partita doppia costi e ricavi.
Un numero dovrà dire se non fare il tunnel di base della Torino-Lione vale più che realizzarlo.
Nell’epoca della post ideologia questa è la visione più ideologica di sempre.
Ed è per questa ragione che ci troviamo all’interno di un circolo vizioso semantico, in cui non troviamo le parole per controbattere a quella piazza e a quella classe. Parole che ci costringono a giocare in difesa.
Chiusi dentro lo stretto recinto dell’ideologia ordoliberista, una mescolanza di libero mercato e autoritarismo non a caso teorizzata negli anni ’30 del secolo scorso, in Germania.
Rimaniamo senza parole, per contrastare quella piazza che inneggia al lavoro, allo sviluppo, alla crescita.
Si dovrebbe avere il coraggio di contrastare e contestare questi principi, in virtù del limite raggiunto.
Sostenere apertamente che nessun esperto può sindacare, in base a dei numeri, che la mia vita può essere distrutta o meno.
La piazza di Torino ha gioco facile nel denigrare la Val Susa, perché la grande città cerca ancora spazi per il suo sviluppo, per la sua crescita, per il suo lavoro. Divorata da una crisi del settore manifatturiero, pensa di trovare sfogo attaccando una valle, dichiarandole guerra fisicamente, schierando le truppe e mostrandole in parata nella sua piazza.