Un euro e ottanta centesimi all’ora. Lo dicono in paese, nel piccolo centro del profondo Piemonte che vive di agricoltura, di investimenti nel settore vitivinicolo e di fondi europei erogati a pioggia con cui le colline coperte di boschi sono state trasformate in colline coperte di vigne.
Bellissime, infiniti ricami coperti di uva dorata pronta per la vendemmia.
Un euro ottanta, un’ora di lavoro.
Prima c’erano i vecchi contadini. Poi sono arrivati gli studenti della città. Poi il comunismo è crollato nel giubilo del mondo libero e civilizzato e sono arrivati i romeni. Poi sono arrivati i cinesi. Ora tra le vigne ci sono gli africani.
Arrivano da Torino, dove vivono nell’ex villaggio Olimpico occupato da tempo: un ghetto che difendono con i denti da prossimi, sedicenti, sgomberi.
La vocina del paese al tempo dei romeni, diceva: “tre euro e cinquanta, all’ora”. Il doppio.
Oggi dice un euro e ottanta
Oggi dice un euro e ottanta.
Otto ore uguale 14,4 euro, ma dato che il padrone è buono arriva a quindici, così ci scappa anche mezzo caffè.
Una progressione geometrica verso l’abisso, da cui emerge il concetto di “lavoro combattente”, formula di cui però non si vede lo scopo.
lavoro combattente
Nella Russia sovietica Trotskj lo teorizzò – “il lavoro combattente” e lo rivendicò, per cementare la nascita dell’uomo nuovo. Forse è anche uno dei principi della Cina odierna: ma quel paese è un mistero avvolto da un enigma.
Oggi nel nostro civile ed erudito occidente non si sa a cosa porti questa volontà.