SOTTO QUALE DIRITTO STA IL GLOBO?
CRITICA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
UNILATERALE - UN ANNO DI VERIFICA

Sovranità, Dignità e Regionalismo nel Nuovo Ordine Internazionale – osservazioni di Vijay Prashad (Tricontinental Institute) – aggiorn. 2/11/23

(aggiornamenti a scendere)

Vijay Prashad, Tricontinental Institute - per Centro de Investigaciones de Política Internacional (CIPI) e Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO)

Dal canale youtube del Centro de Investigaciones de Política Internacional (CIPI) di Cuba, un contributo di Vijay Prashad, direttore del Tricontinental Institute, che abbiamo tradotto in italiano per facilitarne la comprensione al pubblico ampio. L’intervento chiarisce la differenza tra ordine “basato su regole” e “basato sulla Carta dell’ONU”. Diplomazie e media le utilizzano con frequenza crescente: lo studio permette di coglierne i gravosi sottintesi. Il video dura 21 min, in inglese ben scandito con s.t. inseribili in inglese; la traduzione italiana a cura di Trancemedia.eu è riportata sotto il videoplayer.

 

Sovranità, Dignità e Regionalismo
nel Nuovo Ordine Internazionale

di Vijay Prashad, direttore del Tricontinental Institute
Centro de Investigaciones de Política Internacional (CIPI)
Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales (CLACSO)

Sessione inaugurale della 7a Conferenza di Studi Strategici

26 ottobre 2022

 

È un grandissimo onore partecipare alla settima Conferenza di studi strategici ospitata dal Centro per la ricerca sulla politica internazionale (CIPI) con CLACSO, il Consiglio latino-americano delle scienze sociali. Sono grato al mio amico José Ramón Cabañas per avermi invitato a fare queste osservazioni sullo stato attuale del mondo e sull’assoluta necessità di un nuovo sistema.

Nel maggio 2021, la direttrice del dipartimento donne delle Nazioni Unite, Phumzile Mlambo-Ngcuka, e l’Alto Rappresentante delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo, Izumi Nakamitsu, pubblicarono un articolo esortando i governi a tagliare le spese militari eccessive a favore della spesa per lo sviluppo sociale ed economico. Le loro sagge parole non sono state affatto ascoltate.

Tagliare i soldi per la guerra e aumentare quelli per lo sviluppo sociale – scrissero – non è un ideale utopico ma una necessità realizzabile.

Questa frase è essenziale: non un ideale utopico ma una necessità realizzabile descrive quasi perfettamente il progetto del socialismo. Dopo la guerra illegale degli Stati Uniti contro l’Iraq del 2003 e la crisi finanziaria globale del 2007, gli Stati Uniti si trovano in uno stato di grande fragilità. Hanno cercato di affermare il loro potere egemonico utilizzando tutti i mezzi, dal diplomatico al militare, non senza contraddizioni.

La riunione dei capi di governo SCO si tiene in Kyrgyzstan in questi giorni; il collegamento apre in nuova scheda l’articolo di Global Times, 24 ottobre 2023.

In questo contesto di fragilità del potere statunitense, le entità regionali hanno tentato di affermarsi, sia quelle dell’America Latina, come ALBA, sia quelle dell’Asia, come l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO). A volte la potenza degli Stati Uniti, ancora non indebolita, riesce a minare questi tentativi ma in altri casi queste formazioni regionali hanno resistito alla pressione. L’emergere di formazioni regionali ha messo sul tavolo l’idea di multipolarità come se ora ci trovassimo in un mondo con diversi poli anziché in un sistema unipolare.

Questo presupposto appare ragionevole, ma forse è errato. Invece di questa architettura dell’ordine mondiale, più probabile è l’emergere di un maggiore regionalismo e questo regionalismo sarà il fondamento di un nuovo tipo di internazionalismo. Non stiamo per entrare in un periodo di balcanizzazione globale, ma stiamo per creare un nuovo tipo di internazionalismo basato sul rispetto reciproco, costruito sulla forza dei regimi commerciali regionali, sulla sicurezza regionale e sulle formazioni politiche.

La battaglia attuale tra l’ordine internazionale basato su regole guidato dagli Stati Uniti e un ordine che cerca di recuperare la Carta delle Nazioni Unite è diventata centrale per le relazioni internazionali.

Questa presentazione esaminerà queste due visioni dell’ordine internazionale e suggerirà che il vero movimento della storia è quello di tornare alla Carta delle Nazioni Unite e cercare di costruire un forte regionalismo e internazionalismo, piuttosto che continuare l’instabilità e gli scontri di un ordine internazionale basato su regole guidato dagli Stati Uniti.

Nel corso dell’ultimo decennio il governo degli Stati Uniti ha descritto il sistema che ha organizzato e controllato nell’ultimo mezzo secolo utilizzando l’espressione ordine internazionale basato su regole.
Questo “ordine internazionale basato su regole”, secondo il governo degli Stati Uniti, è superiore a qualsiasi altro potenziale sistema internazionale.
Il termine “basato su regole” è curioso; le regole a cui si fa riferimento non sono quelle sancite dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945, che è il documento che gode dei maggiori consensi nel pianeta.
Ciascuno degli stati membri delle Nazioni Unite è firmatario della Carta, il che significa che ogni paese riconosciuto è vincolato dalla Carta delle Nazioni Unite.
Se il governo degli Stati Uniti non usa il termine “basato su regole” per riferirsi alla Carta delle Nazioni Unite, allora a cosa si riferisce? Per comprendere questa domanda sarebbe meglio esplorare un aspetto particolare dell’ordine internazionale basato su regole che il governo degli Stati Uniti cerca di stabilire.

Il governo USA designa abitualmente i paesi che violano il suo ordine basato su regole, ma non spiega mai realmente su quali basi viene fatta questa designazione.

L’intera politica di sanzioni unilaterali, ad esempio, è un esercizio arbitrario di potere da parte del governo degli Stati Uniti basato sul suo controllo dei flussi finanziari e commerciali internazionali, nonché sull’uso della forza diplomatica e militare per comandare ad altri paesi di piegarsi alla sua volontà.

In altre parole, quando il governo degli Stati Uniti dice che sono le regole, che intende che queste sono le regole “dell’ordine basato sulle regole”, e queste regole vengono definite non in modo legale ma in modo consuetudinario, essendo la consuetudine quella che il governo degli Stati Uniti formula in base ai suoi bisogni e interessi particolari: gli interessi e i bisogni delle élite statunitensi in un dato momento.

Per sanzionare Cuba, ad esempio, il governo degli Stati Uniti non si avvale della Carta delle Nazioni Unite e anzi ignora l’immensa maggioranza dei popoli e dei governi mondiali che si oppongono al blocco unilaterale degli Stati Uniti contro Cuba.
La prova della posizione del governo si trova nel voto annuale delle Nazioni Unite che condanna l’embargo. Né l’opinione popolare né le posizioni della maggior parte dei governi del mondo contano; ciò che conta è che il governo degli Stati Uniti richiede che questa politica unilaterale continui e questa esigenza diventi la base per le regole che definiscono l’ordine internazionale.

Mentre il governo degli Stati Uniti definisce arbitrariamente le regole per il mantenimento dell’ordine, usa le regole effettive sviluppate dopo la discussione democratica nelle Nazioni Unite e in altri forum per sorvegliare coloro che considera al di fuori delle regole. Ad esempio, il governo degli Stati Uniti ha firmato la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare entrata in vigore nel 1994. Tuttavia il Senato degli Stati Uniti non ha ratificato questo trattato; pertanto il governo degli Stati Uniti non è parte del trattato, eppure è sulla base di questo trattato che il governo USA conduce le sue esercitazioni di libertà di navigazione contro Paesi che hanno firmato e ratificato il trattato, come la Repubblica Popolare Cinese.
Quindi la Repubblica Popolare Cinese, un membro legittimo del trattato della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, è sottoposta a controlli sulle sue acque sovrane nel Mar Cinese Meridionale da un paese che non ha ratificato il trattato ma lo utilizza.

Ancora, gli Stati Uniti non fanno parte dello Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale, tuttavia sono gli USA che utilizzano in modo aggressivo la Corte e le leggi sui crimini di guerra, come le Convenzioni di Ginevra, per perseguire quelli che gli Stati Uniti definiscono come propri nemici.

Esiste un elenco di trattati internazionali chiave che gli Stati Uniti non hanno ratificato, oltre 30 dei quali giacciono nella camera del Senato con poche aspettative di voto. Tra questi trattati ci sono alcune parti centrali del regime internazionale di controllo degli armamenti, come il Trattato sulla messa al bando delle mine di Ottawa del 1997, la Convenzione sulle munizioni a grappolo del 2010 e il Trattato sul commercio delle armi del 2014. Inoltre ci sono parti centrali del regime dei diritti umani come la convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1981, la convenzione sui diritti del bambino del 1990 e il protocollo facoltativo alla convenzione contro la tortura del 2002.

Per quanto riguarda il governo degli Stati Uniti, questi non fanno parte del suo ordine internazionale basato su regole. In altre parole, è importante stabilire che il governo degli Stati Uniti non accetta molti trattati negoziati a livello internazionale come parte centrale del suo ordine internazionale basato su regole. È importante notare che anche quando gli Stati Uniti firmano e ratificano i trattati lasciano una porta spalancata per poter evadere i protocolli. Quando gli Stati Uniti accettarono la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia nel 1946, Washington chiarì che qualsiasi procedimento stabilito dalla Corte che riguardasse gli Stati Uniti, avrebbe dovuto ricevere il placet del governo USA. Le riserve apportate ai trattati e il rifiuto della giurisdizione consentono agli Stati Uniti di firmare e ratificare alcuni trattati come un gesto vuoto nei confronti del diritto internazionale.
Come disse Dean Acheson all’American Society of International Law nel 1962, non esiste alcuna sfida legale per gli Stati Uniti quando rispondono a indagini che minacciano la loro posizione di potere e prestigio.
Inoltre, se una qualsiasi delle agenzie con mandato internazionale aprisse un’indagine sulle azioni degli Stati Uniti, le agenzie e i loro funzionari sarebbero minacciati dal governo USA.
Ad esempio, quando la Corte penale internazionale ha aperto un’indagine sui crimini di guerra commessi in Afghanistan da tutte le parti, compresi gli Stati Uniti, il governo USA ha negato il visto al procuratore capo Fateh Ben Sudha, impedendole di testimoniare davanti all’ufficio delle Nazioni Unite a New York. Funzionari statunitensi hanno anche affermato che la sua famiglia non sarebbe stata in grado di ottenere il visto per entrare negli Stati Uniti.

Perché gli Stati Uniti non accettano il diritto internazionale stabilito, compresa la Carta delle Nazioni Unite?

Qual è lo scopo della mascherata chiamata “ordine internazionale basato su regole” che chiaramente non si basa sulla Carta delle Nazioni Unite o su nessuno degli altri quadri normativi stabiliti dalla negoziazione e dal consenso internazionale?

Il fatto è che l’ordine internazionale basato su regole imposto dagli Stati Uniti è mirato a proteggere i vantaggi assicurati alle multinazionali globali, ai finanziatori globali e ai ricchi obbligazionisti, contro il tentativo dei movimenti popolari e dei governi popolari di stabilire la sovranità territoriale e di sviluppare un processo sociale dignitoso nei loro paesi.

L’ordinamento USA si basa sul fatto che i detentori di proprietà, in altre parole i capitalisti, devono avere il diritto di sfruttare la natura e il lavoro, che questi capitalisti organizzati in aziende grandi e potenti non devono avere limiti ai loro desideri, ciò significa che a queste aziende dovrebbe essere consentito di andare ovunque e di fare qualsiasi cosa, incluso creare le condizioni per l’annientamento del sistema terrestre.

L’oscenità della fame ne è un segno in termini sociali e la catastrofe climatica lo è in termini di natura.

Qualsiasi paese che cerchi di porre barriere alla licenza concessa alle imprese capitaliste è quindi in pericolo e il suo governo rischia di essere sanzionato o rovesciato. L’ordine capitalista progettato negli ultimi secoli ha violato la sovranità della maggior parte del mondo, prima attraverso il colonialismo e poi attraverso la creazione di un insieme di strutture neocoloniali che puniscono i paesi indipendenti quando cercano di esercitare la propria sovranità.

Questo sistema neocoloniale consente alle imprese capitalistiche di estrarre ricchezza sociale da quelle parti del mondo che altrimenti avrebbero usato quella ricchezza per migliorare le condizioni generali di vita del pubblico e per relazionarsi adeguatamente con l’ambiente naturale.

A qualsiasi governo moderno deve essere richiesto di comportarsi lungo due direttrici: migliorare le condizioni generali di vita della popolazione e relazionarsi adeguatamente con l’ambiente naturale. Queste norme in modo ristretto sono già entrate nelle istituzioni internazionali e nella coscienza pubblica. Ad esempio, l’obbligo di un governo moderno di migliorare le condizioni di vita affonda le sue radici nella Carta delle Nazioni Unite ma anche nei vari trattati le cui aspirazioni sono state recentemente riassunte negli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Questi obblighi includono cose elementari come porre fine alla fame e alla mancanza di case, istituire l’istruzione pubblica e i trasporti pubblici e sviluppare processi per l’uguaglianza sociale e l’arricchimento culturale.
Tuttavia molti paesi nella morsa di strutture neocoloniali non hanno il controllo sulle proprie risorse; in altre parole, non sono sovrani e quindi non possono raccogliere i fondi sociali necessari per realizzare queste aspirazioni come porre fine alla fame e all’analfabetismo; ovvero, poiché non possono raccogliere fondi sociali, non possono creare un mondo dignitoso, quindi l’ordine basato sulle regole degli Stati Uniti non è finalizzato a promuovere la democrazia ma a mantenere una nuova struttura coloniale di sfruttamento sia del lavoro che della natura, dell’uomo e del sistema Terra.

Esiste un’alternativa a questo ordine internazionale basato sulle regole del governo degli Stati Uniti?

Gruppo di Amici in Difesa della Carta ONU – Nel 2023 conta 20 membri

Nel marzo 2021, 16 Stati membri delle Nazioni Unite si sono riuniti per costituire il Gruppo di Amici in Difesa della Carta dell’ONU.
Questo organismo comprende diversi paesi che sono stati sottoposti a sanzioni unilaterali e illegali da parte degli USA, paesi come Algeria, Cina, Cuba, Eritrea, Nicaragua, Russia e Venezuela.
L’obiettivo del Gruppo di Amici è quello di sostenere la fondazione del sistema delle Nazioni Unite, specificamente sia il multilateralismo sia la diplomazia, contro l’unilateralismo e il militarismo, o la guerra.
Due punti importanti devono essere considerati riguardo alla nascita di questo Gruppo di Amici.
In primo luogo, l’ammissione che non è necessario creare un nuovo sistema internazionale, ma semplicemente consentire all’ordine internazionale post-seconda guerra mondiale e post-coloniale di funzionare.
Questo ordine è stato costruito dal consenso del dopoguerra sugli orrori della Seconda Guerra Mondiale, compreso il nazismo e l’uso delle armi atomiche, e dal consenso post-coloniale nel terzo mondo per l’istituzione della sovranità degli Stati.

Questo sistema affonda le sue radici nella Carta delle Nazioni Unite ma anche nel documento finale della Conferenza di fondazione del movimento dei non allineati nel 1961. È fondamentale riconoscere che il documento finale del movimento dei non allineati originario stabilisce la sovranità e la dignità come suoi principi fondamentali. Un importante tentativo di realizzare questi principi è avvenuto attraverso i movimenti non allineati che hanno avviato il nuovo ordine economico internazionale approvato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974 e poi respinto dagli USA e alleati, che invece sostenevano un ordine mondiale neoliberista.

In secondo luogo, la consapevolezza che l’azione unilaterale di uno o di un gruppo di paesi contro altri semplicemente non deve essere tollerata in questo periodo emergente. Continua ad esserci un dibattito su come sarà questa nuova era post-unilateralista. Una scuola di pensiero sostiene che entreremo in un ordine mondiale multipolare in cui si stabiliranno poli diversi. Le prove a favore di questa scuola non sono chiare poiché nessuna delle maggiori potenze, oltre agli Stati Uniti, vorrebbe esercitare un potere extraterritoriale e costituirsi come polo. Ciò è stato chiaramente indicato, ad esempio, dal 20° Congresso del Partito comunista della Cina, in cui il presidente Xi Jinping ha affermato che la storia del colonialismo non deve ripetersi. Un mondo multipolare non è un antidoto al militarismo poiché il multipolarismo potrebbe intensificare le rivalità e quindi la guerra.

CELAC: 33 Stati membri, 691 milioni di persone

Una seconda scuola di pensiero, con la quale sono d’accordo, sostiene che l’attuale movimento della storia tende a favorire la creazione di blocchi regionali che tuttavia vorrebbero integrarsi tra loro in modo reciprocamente vantaggioso con altri blocchi regionali e altri paesi. Le prove di questa tendenza sono abbondanti, come la creazione in America Latina dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli delle nostre Americhe (ALBA) nel 2004 e della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi o CELAC nel 2010 e in Asia dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, nel 2001.

Il capitolo 8 della Carta delle Nazioni Unite sostiene la crescita degli accordi regionali per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Questi non sono blocchi di potere esclusivi progettati per intensificare il conflitto, ma accordi per migliorare il commercio regionale e gestire i conflitti regionali, nonché per sviluppare programmi interregionali per costruire schemi di reciproco vantaggio.
Tre concetti sono quindi al centro di un ordine mondiale potenzialmente ripristinato che è stato sviluppato dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla dichiarazione finale del Movimento dei non allineati: sovranità, dignità e regionalismo.

Queste tre parole definiranno il nuovo internazionalismo che deve essere costruito.
Abbiamo bisogno di più cooperazione e meno confrontazione, più diplomazia e meno guerre; i paesi più ricchi non possono nascondere le calamità che il colonialismo e il sistema neocoloniale hanno portato al pianeta.
Quando le acque si alzeranno, si alzeranno ovunque.
Dobbiamo lavorare insieme per costruire un futuro condiviso.
Non possiamo permetterci un’altra strada.
Grazie mille.


Video originale in https://www.youtube.com/watch?v=gmzkJ8bW1qg

Traduzione italiana a cura di Trancemedia.eu


EXTRA da redazione

Una riflessione per marxiani filologici
in merito alle coalizioni in corso tra
Stati-FABBRICA, Stati-MINIERA, Stati-CONTADO
che si oppongono al neocolonialismo
in nome della Carta delle Nazioni Unite
[sono “imperialisti”? sono “capitalisti”? o sono bersagli, oltre che delle “regole” neo-coloniali imposte dall’egemonico West, anche della supponenza idealistica di internazionalisti dogmatici, guarda caso, occidentali? Avete presente quale fu la replica, nel 2° congresso IC, alle tesi antiparlamentari di A. Bordiga?]
FANNO COALIZIONI, COALIZIONI INTERNAZIONALI
E SONO MAGGIORITARI, CAPITE?

Da “Miseria della filosofia”,
Karl Marx – 1847
passi scelti nel Cap II “La metafisica dell’economia politica”, par. 5 “Gli scioperi e le coalizioni degli operai”

In Inghilterra, le coalizioni sono autorizzate da un atto del parlamento; ed è il sistema economico che ha costretto il parlamento a dare per legge questa autorizzazione. Nel 1825, quando, sotto il ministro Huskisson, il parlamento dovette modificare la legislazione, per accordarla sempre di più con uno stato di cose risultante dalla libera concorrenza, esso dovette necessariamente abolire tutte le leggi che proibivano le coalizioni degli operai. Più l’industria moderna e la concorrenza si sviluppano, più vi sono elementi che provocano e assecondano le coalizioni, e quando le coalizioni sono divenute un fatto economico che acquista ogni giorno maggior consistenza, non possono certo tardare a divenire un fatto legale. (…)

Gli economisti vogliono che gli operai restino nell’ambito della presente società quale essa si è formata, e quale essi l’hanno delineata e suggellata nei loro manuali.

I socialisti [proudhoniani, fourieristi, owenisti dell’epoca] vogliono che gli operai lascino stare la vecchia società, per poter entrare in quella nuova, che essi hanno loro preparata con la previdenza sociale.

Malgrado gli uni e gli altri, malgrado i manuali e le utopie, le coalizioni non hanno cessato un istante di progredire e di ingrandirsi con lo sviluppo e l’espansione dell’industria moderna. (…) L’Inghilterra, dove l’industria ha raggiunto il più alto grado di sviluppo, ha le coalizioni più vaste e meglio organizzate.

(…) Si sono formate coalizioni permanenti, trade unions, che servono da baluardo agli operai nella loro lotta contro gli imprenditori. E, al momento attuale, tutte queste trade unions locali trovano un punto d’unione nella National Association of United Trades, il cui comitato centrale risiede a Londra, e che conta già ottantamila membri. La formazione di questi scioperi, coalizioni, trades unions fu contemporanea alle lotte politiche degli operai, che costituiscono ora un grande partito politico, sotto il nome di Cartisti.

I primi tentativi degli operai per associarsi tra loro assumono sempre la forma di coalizioni.

La grande industria raccoglie in un solo luogo una folla di persone sconosciute le une alle altre. La concorrenza le divide, nei loro interessi. (…) Così la coalizione ha sempre un duplice scopo, di far cessare la concorrenza degli operai tra loro, per poter fare una concorrenza generale al capitalista. Se il primo scopo della resistenza era solo il mantenimento dei salari, a misura che i capitalisti si uniscono a loro volta in un proposito di repressione, le coalizioni, dapprima isolate, si costituiscono in gruppi e, di fronte al capitale sempre unito, il mantenimento dell’associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario. Ciò è talmente vero, che gli economisti inglesi rimangono stupiti a vedere come gli operai sacrifichino una buona parte del salario a favore di associazioni che, agli occhi di questi economisti, erano state istituite solo a favore dei salari. In questa lotta – vera guerra civile – si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una battaglia imminente. Una volta giunta a questo punto, l’associazione acquista un carattere politico.

Le condizioni economiche avevano dapprima trasformato la massa della popolazione del paese in lavoratori. La dominazione del capitale ha creato a questa massa una situazione comune, interessi comuni. Così questa massa è già una classe nei confronti del capitale, ma non ancora per se stessa. Nella lotta, della quale abbiamo segnalato solo alcune fasi, questa massa si riunisce, si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe. Ma la lotta di classe contro classe è una lotta politica.

Nella borghesia dobbiamo distinguere due fasi: quella durante la quale essa si costituì in classe sotto il regime della feudalità e della monarchia assoluta, e quella in cui, ormai costituitasi in classe, rovesciò la feudalità e la monarchia per fare della società una società borghese. La prima di queste fasi fu la più lunga e richiese i più grandi sforzi. Anche la borghesia aveva cominciato con coalizioni parziali contro i signori feudali.

Si sono fatte molte ricerche per descrivere le differenti fasi storiche che la borghesia ha percorso, dal comune fino alla sua costituzione come classe.

Ma quando si tratta di rendersi esattamente conto degli scioperi, delle coalizioni e delle altre forme nelle quali i proletari realizzano davanti ai nostri occhi la loro organizzazione come classe, gli uni sono presi da un timore reale, gli altri ostentano uno sprezzo trascendentale.

Una classe oppressa è la condizione vitale di ogni società fondata sull’antagonismo delle classi. L’affrancamento della classe oppressa implica dunque di necessità la creazione di una società nuova. Perché la classe oppressa possa affrancarsi, bisogna che le forze produttive già acquisite e i rapporti sociali esistenti non possano più esistere le une a fianco degli altri. Di tutti gli strumenti di produzione, la più grande forza produttiva è la classe rivoluzionaria stessa. L’organizzazione degli elementi rivoluzionari come classe presuppone l’esistenza di tutte le forze produttive che potevano generarsi nel seno della società antica.

 [Digressione futuribile, nel testo]
Ciò vuol dire forse che dopo la caduta dell’antica società ci sarà una nuova dominazione di classe, riassumentesi in un nuovo potere politico? No.

La condizione dell’affrancamento della classe lavoratrice è l’abolizione di tutte le classi, come la condizione dell’affrancamento del “terzo stato”, dell’ordine borghese fu l’abolizione di tutti gli stati e di tutti gli ordini.

La classe lavoratrice sostituirà, nel corso dello sviluppo, all’antica società civile un’associazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e non vi sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il compendio ufficiale dell’antagonismo nella società civile.

Nell’attesa, l’antagonismo tra il proletariato e la borghesia è una lotta di classe contro classe, lotta che, portata alla sua più alta espressione, è una rivoluzione totale. D’altronde, bisogna forse stupirsi che una società basata sull’opposizione delle classi metta capo alla contraddizione brutale, a un urto corpo a corpo come sua ultima conclusione?

Non si dica che il movimento sociale esclude il movimento politico. Non vi è mai movimento politico che non sia sociale nello stesso tempo.

Solo in un ordine di cose in cui non vi saranno più classi né antagonismo di classi le evoluzioni sociali cesseranno d’essere rivoluzioni politiche. Sino allora, alla vigilia di ciascuna trasformazione generale della società, l’ultima parola della scienza sociale sarà sempre:

“Il combattimento o la morte; la lotta sanguinosa o il nulla.
Così, inesorabilmente, è posto il problema.”

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[nota della redazione]

La cruenta citazione finale da George Sand, nome d’arte della scrittrice politica Amantine Aurore Lucile Dupin de Francueil (1804-76) non distragga dal senso generale dell’argomentazione a favore delle coalizioni legali, della lotta di classe vista anche nel quadro di quella che, quasi ottanta anni dopo la scrittura della Miseria della Filosofia, Piero Gobetti definirà concorrenza tra proletariato e borghesia. Una concorrenza che oggi vede il “proletariato” maggioritario nelle sedi legali del Palazzo di Vetro e del Consiglio di Sicurezza, nonché del commercio mondiale. In questo quadro, proponiamo per concludere un editoriale del cinese Global Times, pubblicato il 22 ottobre 2023. I grassetti sono nostri.

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OPINIONE / OSSERVATORE
L’incapacità degli Stati Uniti di conciliare il conflitto israelo-palestinese evidenzia l’immobilismo dell’ordine globale esistente
di Global Times
22 ottobre 2023

I media nordamericani stanno tentando di reindirizzare l’attuale conflitto israelo-palestinese verso l’ascesa della Cina. Il New York Times, in un articolo intitolato “Nuove divisioni globali in vista mentre Biden va in Israele e Putin in Cina”, contrappone direttamente la visita del presidente Joe Biden in Israele a quella del presidente Vladimir Putin in Cina.

Diversi media e studiosi statunitensi hanno affermato che il conflitto israelo-palestinese offre a Cina e Russia nuove opportunità per “riformare l’ordine internazionale esistente”.

Dal punto di vista cinese, ciò che è più degno di paragone è che, proprio quando è scoppiato il conflitto Israele-Palestina, un rapporto di una commissione bipartisan nominata dal Congresso degli Stati Uniti ha affermato che gli Stati Uniti devono essere pronti a dissuadere e sconfiggere simultaneamente Cina e Russia. Per il momento, gli Stati Uniti sono “mal preparati” per le sfide potenzialmente esistenziali del 2027-2035 e oltre.

Le ragioni del conflitto israelo-palestinese sono alquanto complesse. Tuttavia, oggi è ampiamente riconosciuto che la marginalizzazione della questione palestinese da parte delle potenze statunitensi ed europee è uno dei principali fattori che vi contribuiscono. Questo perché gli Stati Uniti e l’Europa hanno indebolito in modo significativo la loro capacità di sostenere l’ordine mondiale esistente.

L’ordine mondiale del secondo dopoguerra è stato costruito principalmente dalle potenze statunitensi ed europee, ma questo ordine contiene intrinsecamente conflitti di interessi geopolitici. Si tratta essenzialmente di una distribuzione di potere e interessi guidata dagli Stati Uniti e, naturalmente, è direttamente influenzata dai cambiamenti politici ed economici interni agli Stati Uniti e ai Paesi europei.

Dalla Conferenza di Madrid dell’ottobre 1991 alla firma degli accordi di Oslo nel 1993, fino agli sforzi dell’amministrazione Trump per riconciliare le relazioni israelo-palestinesi, l’intero processo ha evidenziato non solo le contraddizioni intrinseche che l’ordine esistente non riesce a risolvere, ma anche il loro potenziale di riproporsi.

L’ascesa delle potenze emergenti mette in discussione l’attuale struttura di potere politico ed economico dominata dagli USA. Nel Medio Oriente, per gli Stati Uniti è sempre più difficile controllare le varie forze regionali. I tentativi di usare il potere egemonico per consolidare il dominio stanno essenzialmente minando la struttura stessa che cercano di mantenere, come esemplificato dal fallimento della politica statunitense in Iraq e della sua “Iniziativa per il Grande Medio Oriente”.

I cambiamenti nella politica interna e nelle strutture economiche in USA e in Europa, in particolare la polarizzazione politica, hanno portato a una diminuzione della risolutezza politica degli attuali governi. Gli Stati Uniti e l’Europa non possiedono più la stessa capacità di mediare il conflitto israelo-palestinese che avevano un tempo, anche se gli attuali governi hanno il desiderio di farlo. È per questo che la visita del Presidente Joe Biden in Israele non ha portato a nessun tipo di risultato pacifico significativo.

I conflitti geopolitici esistenti all’interno dell’ordine attuale si sono intensificati a causa delle mutate dinamiche delle grandi potenze, e il conflitto tra Russia e Ucraina ne è un esempio lampante. Mentre gli Stati Uniti e l’Europa si concentrano sulla Russia, l’offensiva di Hamas ricorda che anche il Medio Oriente è un focolaio di conflitto geopolitico. Inoltre, gli interessi di Stati Uniti ed Europa sono profondamente aggrovigliati in questa regione.

La storia ha raggiunto un punto di svolta nella trasformazione dell’ordine dopo la Seconda guerra mondiale e questo periodo sarà segnato da turbolenze. I vecchi conflitti riemergeranno in modi diversi. Zheng Yongnian, politologo cinese, ha descritto il “vecchio ordine” come in via di disintegrazione.

Questa situazione non si spiega solo con l’ascesa della Cina. Gli Stati Uniti vedono la Cina come un importante sfidante dei loro interessi strategici, mostrando l’arroganza e l’ignoranza di Washington su un piano geopolitico globale più ampio e a lungo termine. È possibile preservare questo ordine spingendo la Cina verso il basso, contenendola e trattenendola?

Sostenere con ostinazione l’ordine esistente attraverso mezzi strategici tradizionali è un’opzione. Ma correggere l’ordine attuale con una mentalità più aperta per facilitare la comunicazione e la cooperazione tra le principali potenze globali e regionali, tra le nazioni del Sud e del Nord, nonché tra le potenze emergenti e le vecchie grandi potenze nella costruzione di un nuovo ordine è un’altra opzione.

La questione cruciale è: come reagiranno gli USA e l’Occidente a questi cambiamenti? Sono disposti a cedere potere e sono adeguatamente preparati a questa transizione di potere? Il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese rappresenta una seria sfida all’egemonia degli Stati Uniti e al loro ordine dominante.

Traduzione italiana a cura di Trancemedia.eu – Testo originale (lingua inglese) da Global Times apre in nuova scheda da qui

 


Dibattito alla Assemblea Generale ONU (UNGA78) – NYC Palazzo di vetro, 1 novembre 2023 

Cuba: Ending the U.S. Economic Embargo: UN General Assembly 24th Plenary Meeting

Paesi del Sud chiedono, per l’ennesima volta e certamente a grande maggioranza, la fine dell’embargo USA contro Cuba, la generosa come dice il Vietnam, che ringrazia L’Avana per i vaccini.  Sarebbe questo il capitalismo mondiale? L’imperialismo vietnamita, cubano? Questa è la maggioranza dell’umanità – magari rappresentata da burocrati – ma Karl Marx non avrebbe esitazioni a sostenerli, e non possiamo escludere che un Amadeo 134enne scriverebbe pagine dialettiche in loro favore. I dogmatismi idealistici non aiutano nell’era della maggioranza Sud, che ha ineludibile necessità di applicare un altro diritto, diritto altro che si manifesta qui, in un dibattito contro la repressione “privata” esercitata dagli USA contro la vicina Cuba, giardino indipendente dalla Casa Bianca.

Una maggioranza che si ritrova per Cuba ogni anno, ma anche ogni giorno e in mille altre sedi ONU e non, regionali e globali, per la governance di cibo-agricoltura, ambiente-clima, diritti umani, intelligenza artificiale, e via elencando. Una maggioranza che esprime valori e obiettivi corrispondenti al “social justice, now – climate justice, now” di movimenti occidentali come i Fridays For Future, con una differenza sostanziale però: nel West sono movimenti  ancora minoritari (e il West è minoranza in assoluto) mentre questa maggioranza è maggioranza assoluta, non solo nel Palazzo di Vetro. Una maggioranza di élites mondiali che sa di esser obbligata a seguire la via post-capitalistica, ma deve potersi distaccare nella maniera più indolore dal giogo post-post Bretton Woods del Fondo monetario, delle agenzie di rating, dei pagamenti Swift (gli eredi neocolonialisti del keynesismo neoliberale), mentre il fallimento implosivo del vecchio padrone aleggia. La presa del Palazzo di Vetro è palese, e ora comincia il difficile (i treni di Trotsky stanno in museo). Il Sud del mondo urge infrastrutture moderne durevoli (incorrotte) e sostenibili, gestione sociale rispettosa del territorio, sviluppo armonico di forze produttive liberate, sicurezza e sovranità alimentare nella biodiversità.

È la prima generazione, globale, di maggioranze consapevoli che il capitalismo va superato, ed è maggioritaria nel pianeta. Irrilevante? (irrilevanti, nel passato remoto, Bukharin, Chayanov e il sempre giovane Makhno?)

[cp]

Video 2a parte del dibattito e votazione, dal canale ONU (in nuova scheda), 2 novembre; il ministro degli esteri di Cuba parla al timecode 1:07:23 – parla in spagnolo ma non abbiamo trovato che il video doppiato in inglese, sembra incredibile!


pagina iniziata il 24 0ttobre 2023

ultimo aggiornamento (in basso) il
2 Novembre 2023

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